145 minuti ad orologeria, per un compendio (meta)cinematografico maestoso e incombente, glaciale e affascinante, critpico eppure esplicato gioco dei ruoli e delle identità, dei generi e delle verità
Chi l’ha vista? O meglio chi li ha visti? Chi potrebbe davvero riconoscerli? Tutti i volti dell’uomo, distratto, burlato, picchiato, sedato dal Grande Fratello. Negli USA del disinganno e della manipolazione emotiva cronica. L’epos mediatico e il nucleo familiare implosivo, il profilo multiplo e pop dell’uomo medio e le sue perverse intime involuzioni. Tra crimini efferati, usci socchiusi, scoop criminosi.
Nick Dunne è un ex scrittore che torna nei lidi natii insieme alla splendida invidiata moglie Amy, cullandosi in quello che sembra un matrimonio cesellato dalla grazia inspiegabile della perfezione. Allo scoccare del quinto anniversario dell’unione Amy scompare nel nulla e il primo sospettato è Nick. Inizia il suo viaggio dantesco sugli schermi mediatici che dilaniano il suo privato e lo istruiscono tuttavia a diventare alter ego di se stesso, cannibalizzato e resuscitato in un vortice orrido. Nick, capro espiatorio per il popolo facebookiano corroso dalle proprie inconsistenti contraddizioni. Nick e Amy, coppia dai mille volti. Quante possibilità?
Tra sottotesti e spicanalisi familiari e sociali, e ritratti corali in stile primo Lynch (non a caso Gone Girl è biblicamente adatto ad una frammentazione televisiva) avvocati, madri, investigatori, amici, giornalisti, comunità in schieramento da scandalo, Fincher tesse un’articolata cittadella del ragno, dove le prede/predatori sono ovunque e insospettabili o troppo sospettabili. Tutto è calcolato, dentro e fuori il cerchio già stabilito dell’opera.
Baloccandosi tra dialoghi elementari, deliri visivi lucidissimi e travolgenti e sfidando pazienza e schematismi della fruizione, Fincher muove le pedine nel suo nuovo “game”, come l’assassino di Seven ci dà in pasto (al)le scatole cinesi della trama e ai meccanismi metalinguistici del racconto, che è anche un apologo sullo sguardo dell’uomo formato/traviato dalla multimedialità dei rapporti e della conoscenza. Dopo il torrenziale magistrale thriller Zodiac, ingombro del mistero sospensivo di una nazione che sotterra consapevolezze e si ciba di menzogna, l’autore tagliente e algebrico tra i più acclamati della contemporaneità, David Fincher, torna disturbante, eccessivo, ancora più complesso, con Gone Girl. Tratto dal best seller di Gillian Flynn, qui sceneggiatrice unica, il film attesissimo, è stato presentato nella sezione Gala del Festival Internazionale del Film di Roma. A differenza di Zodiac, di cui è palese continu-azione, Gone Girl si manifesta come conclusivo nell’analisi autoptica, sanguinosa e pulita, degli “interni” della borghesia americana e insieme del proprio cinema che vuole intrattenere e detenere (nel senso della prigionia dello spettatore). Ferreo nel taglio progressivo dei caratteri e delle loro viscere, Fincher confeziona un thriller che disarma ma non innamora, violenta semmai. Che si svincola dalla tragedia greca ma anche da Hitchcock, sfruttando i meandri psicologici per superare l’empatia e farci entrare nella partita, senza coordinate, senza pathos grondante. Pura meraviglia dell’incastro senza soluzione di continuità.
A pulsare e disarcionare non solo la regia detestabilmente armonica dell’infinito film (145 minuti). Non solo le prove attoriali superbe. Ma soprattutto il Midwest che ospita i personaggi e i loro tormenti. Midwest testimone di un età d’oro desertificata, risacca dei traumi dell’America Wasp, terreno del rifiuto, della ripicca, dell’apparenza lussuosa e decaduta, accudita dall’indifferenza cortese e dai vizi indicibili. Scenografia e utero ideale per la gestazione di una tragedia latente, tanto mostruosamente esposta alla furia mediatica quanto nebulosa e nascosta sotto la pelle di un matrimonio e di una famiglia inevitabilmente tarlata da debiti, scontento, dubbi, inganni, desideri, rimorsi. Amori traditi.
CAST
Regia di David Fincher
Basato sul romanzo di Gillian Flynn
con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry’s, Carrie Coon
Sceneggiatura di Gillian Flynn “L’amore bugiardo”
Direttore della fotografia Jeff Cronenweth
Colonna sonora Trent Reznor
Producer Arnon Milchan, Joshua Donen, Reese Witherspoon
Prodotto da Twenty Century Fox e Regency Entertainment
Usa 2014
Durata 145 minuti
di Sarah Panatta