Il “melodramma” e la tragicomicità dell’esistenza umana: il ciclo della vita, di nascita e di morte
“Torna tra nove mesi”. Questo il titolo dello spettacolo teatrale di Maria Evelina Buffa, con Evelina Nazzari e Maddalena Recino, per la regia di Angelo Libri. La Compagnia delle Rose lo porterà in scena, dal 23 al 28 aprile prossimi, al Teatro Lo Spazio (via Locri 42/44 tel. 0677076486 www.teatrolospazio.it). Questi gli orari: dal martedì al sabato ore 20.45 domenica ore17. Costi dei biglietti: intero 12 euro, ridotto 9 euro, 3 euro tessera.
Evidente il riferimento alla gioia della maternità e della gravidanza, considerata da sempre uno dei più bei regali che una donna possa riceve, non a caso “Torna tra nove mesi” è uno spettacolo quasi tutto al femminile. Le vite di diverse protagoniste si intersecheranno diventando un tutt’uno. Cosa le accomuna? In realtà la tragicomicità che caratterizza l’esistenza umana. Un alternarsi di alti e bassi, di massima felicità a cui seguono momenti di estrema “durezza” in cui si viene messi a dura prova, come la circostanza di un lutto: anche la perdita di un figlio. È il ciclo della vita che nessun altro ambiente più del teatro può rappresentare meglio. Storicamente sono celebri le tragedie greche, ed i drammi romantici più belli sono stati scritti per il teatro. Qui commedia e tragedia diventano la stessa cosa: non solo trovando il loro habitat naturale, ma trasformandosi l’una nell’altra nel corso stesso degli eventi che, continuamente stravolti, tengono col fiato sospeso sino all’ultimo lo spettatore, che non sa quello che aspettarsi da una dimensione, come quella teatrale, che è una sorta di scatola cinese, dove tutto è il contrario di tutto, dove c’è posto per tutta la sfera delle emozioni umane, con le loro sfaccettature, e dove tutto è in continua trasformazione. Un panta rei che porta quasi la storia a costruirsi sul palco, alla presenza del pubblico. Quasi che ogni rappresentazione, ogni volta, ogni sera, ogni giorno siano una diversa dall’altra. Una storia a sé: quel ciclo della vita aperto e concluso. Uguale e diversa dalla precedente e dalla successiva. Mutevole come cangiante è l’animo umano. Differente, così come cambia il modo di vivere e di reagire alle sensazioni di ciascuno di noi.
La gioia, l’amore per un lieto evento, come la nascita di un figlio, può assumere diverse connotazioni, a seconda della persona che la vive. Così come il dolore, soprattutto quello per una perdita, un lutto. Soprattutto di un figlio. Così intenso e lacerante da portare a reazioni altrettanto estreme ed opposte: c’è chi soccombe e si lascia morire, “spegnere” piano piano, facendosi sopraffare dalla depressione e da una sofferenza straziante che non lascia spazio per nessuno stimolo positivo esterno a proseguire nella propria quotidianità. Chi, invece, continua a vivere la propria routine, sempre uguale tutti i giorni, come un automa, col cuore “spento” quasi, non in grado più di sentire nulla, neppure il dolore. Chi, invece, si annulla con un’euforia isterica quasi, un iperattivismo, quasi che con ritmi di vita frenetici si voglia eliminare ogni possibilità di pensare, di ricordare, di sentire quell’assenza di una presenza che era vitale.
Anche questo è il teatro: nascondere il dolore dietro l’apparente serenità e felicità; oppure sdrammatizzare situazioni tragiche, cercando di trovare o di cogliere solamente il lato comico, o almeno ironico. Guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Quello che si ha o quello che si è perso? In fondo questo è il senso della vita. Tutto è, allo stesso tempo, straordinariamente galvanizzante, quanto paurosamente deprimente. Ogni evento che viviamo sembra un ostacolo insormontabile da superare. Ogni insuccesso, ogni sconfitta, ogni perdita, ogni lutto sembra impossibile da riuscire a superare. Sta solamente ad ognuno di noi trovare la forza per farlo, con la consapevolezza che ci cambierà, ci rafforzerà, ma non ci priverà dell’affetto vero, sincero, profondo che ci legava alla persona scomparsa. Non può bastare certo, però. Sembra retorica, ma il fatto che ogni cosa, ogni persona, ogni espressione, ogni oggetto, una canzone, un film, un capo d’abbigliamento, tutto ci ricordi l’altro, significa che quella persona che ci ha lasciato, che era parte di noi, continua in qualche modo ad esserlo, continua a vivere con noi. Forse è una spiegazione banale, una giustificazione che ci si dà, una motivazione che ci piace pensare come reale. Di certo due cose sono sicure: che occorre darsi una ragione di vita per proseguire e che, per quanto tutti soffrano, tutti abbiano subito lutti o nascite, ognuno le prova in modo personale. Quella sensazione che ci fa sentire incompresi, che ci fa esclamare: “nessuno mi potrà mai capire”, “nessuno potrà soffrire quanto me”, è comprensibile e legata alla soggettività con cui ognuno prova emozioni. Un’incomunicabilità che è di casa a teatro, che regge ogni pièce teatrale. Incomunicabilità o in-comunicabilità, cioè in comunicazione, in empatia? Come dire: non posso provare quello che senti, nella stessa tua misura e nel tuo stesso modo, ma so cosa significhi gioire, soffrire, sentire la mancanza, il dolore, l’allegria. Questo perché ogni persona è legata ad un’altra in maniera diversa, ci sono vissuti comuni che uniscono solamente esse e non altre persone. Ma si tratta pur sempre di legami umani universali. Di certo è che nascita e morte sono unite da un legame particolare, originario quasi: è come se, con la morte, si comprendesse meglio il senso vero della vita, il suo valore. Non a caso, spesso, si cerca di reagire a un lutto con una nascita. Si comincia da dove tutto sembrava finire.
Da dove prenderà avvio e dove terminerà allora “Torna tra nove mesi”? Dal fatto che non c’è vita da buttare e che, purtroppo, anche la morte fa parte della vita, ognuno vi è condannato, anche se è sempre troppo presto per staccarsi da coloro a cui teniamo e se non vi troviamo un senso; anche se siamo così arrabbiati per l’ingiustizia subita, bisogna arrendersi al fatto che quella non è una cosa che possiamo cambiare. L’unica cosa da fare è vivere intensamente ogni momento, come fosse l’ultimo, poiché non sappiamo quando la morte possa sorprenderci. Di certo ci coglierà impreparati. Allora iniziamo cogliendo in pieno, tutto quello che “Torna tra nove mesi” ha da offrirci. Come se la vita fosse una lunga corsa nell’attesa di quel momento che comunque toccherà ad ognuno di noi. Tra nove mesi o chissà quando.
di Barbara Conti