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Fobie: come cambiano le paure

fobieQuei libri che aiutano a vivere meglio

Un uomo è solo in un campo di mais. Lo insegue un aereo apparentemente destinato alla disinfestazione. Dal velivolo parte una raffica interminabile di proiettili.Intorno non vi è nient’altro che il cielo aperto. L’uomo si salva per miracolo, mentre l’aereo precipita contro un’autocisterna. Lui è Cary Grant, e la scena è una delle più famose nella storia del cinema, tratta da “Intrigo Internazionale” (1959).

La sequenza prende spunto dalla paura profonda che Hitchcock nutriva verso qualunque tipo di inseguimento, specie se a condurlo fossero stati degli sbirri, ma dei malviventi faceva lo stesso. Un’ossessione che per il regista cominciò assai presto, quando, a cinque anni, per scontare un’improbabile punizione, il padre lo spedì in carcere, e lì rimase per l’intera notte. Complice il tempo trascorso in un collegio di salesiani prima e gesuiti poi, e dell’atmosfera rigida che vi si respirava, la sua giovane mente pullula di fobie. Alcune delle quali piuttosto originali, come quella delle sagome tondeggianti che ricordino un uovo. Oppure quelle che fa rivivere sul grande schermo, nell’estremo tentativo di esorcizzarle. E ce ne sono per tutti i gusti: volatili indomabili, altezze vertiginose, bevande avvelenate, spazi aperti, corpi feticcio.

Negli stessi anni uno come Roosevelt pensò bene, nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca, di richiamare la nazione alle quattro forme di libertà più preziose, non ultima quella dalla paura: “Sono convinto che se c’è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza”. Un appello rivolto alla sua gente che, proprio all’epoca, si dibatteva in un’incertezza economica senza uguali. In altre parole, le angosce crescono laddove il malessere dilaga. Ecco che allora, nell’America post 11 settembre, è tutto un fiorire di nevrosi. Al punto che J. Safran Foer, nel libro “Molto forte incredibilmente vicino” (2003), affida al piccolo Oskar Schell, affetto da sindrome di Asperger e diverse fobie, il compito di ricomporre i pezzi di un mondo dilaniato. E se a Čeljabinsk, in Russia, aumenta il numero delle persone che soffrono di meteorofobia, in particolare bambini, i più colpiti dalla recente pioggia di meteore, in Italia i terremoti e le alluvioni generano nuove forme di paura. E la lista si allunga ogni giorno: si va dalle classiche agorafobia e claustrofobia, alle moderne pauperofobia (letteralmente, paura di apparire poveri) e biofobia (paura di catastrofi ecologiche, o tsunami), passando attraverso la dismorfofobia (fobia che origina da una distorta percezione del proprio corpo) e la cyberfobia (paura della tecnologia). Alcune sembrano godere di una discreta popolarità mediatica, come la disposofobia (letteralmente, paura dell’ordine), a cui l’emittente americana TLC e, successivamente, l’italiana Real Time hanno dedicato un programma televisivo. Altre rivelano una sorprendente somiglianza con il razzismo e la discriminazione, tanto da risultare, a volte, indistinguibili. È il caso dell’islamofobia, ma anche della xenofobia (paura degli stranieri in genere) e della sinofobia (paura del popolo cinese). In questi ultimi casi l’avversione può nascondere, o giustificare, atteggiamenti di profonda, e altrimenti inconfessabile, intolleranza.

Cambiano i tempi. Ma alla base il meccanismo d’azione delle fobie rimane il medesimo: un oggetto, o un evento, apparentemente innocui, si rivelano capaci di suscitare in alcuni una reazione di puro terrore incontrollato, cui segue, talvolta, un vero e proprio attacco di panico. Le cause reali sono da ricercarsi, tuttavia, non in quei pochi, frenetici istanti di dirompente angoscia, ma nella storia che ciascuno custodisce dentro di sé.

E mentre in Italia si moltiplicano i manuali di autoaiuto, che insegnano come controllare l’ansia cosiddetta “anticipatoria”, cioè l’inquietudine che precede la circostanza fobica, da oltremanica la risposta è nelle autobiografie e nelle testimonianze di vita. Come quella di Sarah Bellhouse, una madre che, dopo aver vinto la propria agorafobia, decide che anche i figli debbano superare le loro nevrosi. Una su tutte, la paura del buio, e così nasce il primo libro, “Dim the dark” (2013), e, subito dopo, “Terence the thunder” (2013), entrambi illustrati dalla figlia Megan, di nove anni. Oppure sorprende un piccolo capolavoro di creatività, “The pop-up book of phobias” (1999), dell’americano G. Greenberg, testo animato, in cui ogni pagina, tridimensionale, rivela una fobia. Da quella, usuale, del dentista a quella, assai curiosa, dei clown a quella, realmente terrificante, dei ragni. Libro solo in apparenza per bambini.

di Michela Carrara