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Ronnie_James_Dio_2La carriera “solista”, l’”Hear ‘n Aid”, le collaborazioni: la storia leggendaria di Ronnie James Dio

Nel 1983 Ronnie James Dio porta via ai Black Sabbath il nuovo batterista Vinnie Appice e sceglie il bassista Jimmy Bain ed il diciannovenne chitarrista irlandese Vivian Campbell per scrivere un’altra pagina della propria carriera.

Tra avvicendamenti e sostituzioni,  i Dio (“the quickest route for people knowing what was going to be”, come dirà in seguito, un nome scelto a garanzia di quello che sarebbe stato) attraversano 27 anni di storia della musica, pubblicano 10 album da studio e portano il metal nei cinque continenti. L’esordio discografico, “Holy Diver” (1983), nel quale il cantante è anche alle tastiere – definito, con “Rainbow Rising” (1976) e “Heaven and Hell” (1980), uno dei tre “perfect” album della sua carriera – è un must degli anni ’80, grazie alle composizioni in perfetto stile “classic” ed alle prestazioni della voce, che per molti è ormai “la voce” per eccellenza dell’hard ‘n’ heavy. I successivi “The Last in Line” (1984), ”Sacred Heart” (1985), “Dream Evil” (1987) e “Lock up the Wolves” (1990) rimangono fedeli allo stile iniziale – “the music I really love”, la musica che Dio non avrebbe più smesso di scrivere – fatto di solidi riff, suoni duri e melodie trascinanti, lungo la via tracciata già dai “suoi” Black Sabbath. Gli show dal vivo della band sono scenograficamente imponenti, fortemente influenzati dall’estetica eighties, dall’iconografia medioevale e dal gusto visionario e grottesco degli spettacoli di Alice Cooper (per i quali il frontman dichiara di avere una grande passione). Draghi e dèmoni, sfingi e cobra giganti popolano il palco dei Dio nei primi anni. Non tutti sanno che il brano “Rainbow in the dark”, uno dei più famosi ed amati dell’intera storia del gruppo, rischia all’epoca di essere scartato e, addirittura, di essere distrutto perché Ronnie lo considera “too pappy”, troppo tenero, non abbastanza “heavy”. Lo stesso album “Holy Diver” è poi al centro di forti polemiche a causa dell’immagine di copertina, nella quale un diavolo spaventoso (Murray the Mutated Malacovian Giant, una sorta di “mascotte” per i Dio, come Eddie era già per gli Iron Maiden) incatena ed affoga un uomo in tonaca. L’intenzione, dichiara il cantante, è quella di portare il pubblico a chiedersi cosa ci sia dietro l’esteriorità, il “package” che riveste ognuno di noi: “Siete proprio sicuri – ribatte maliziosamente in ogni intervista – che non sia invece il prete ad affogare il mostro?”.
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King of Rock and Roll (Sacred Heart – Vertigo, 1985)
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Agli esordi dell’era Dio, nel 1985, Ronnie si fa promotore dell’iniziativa benefica “Hear ’n Aid”, equivalente metal di “Usa for Africa”, scrivendo il brano “Stars” con Vivian Campbell e Jimmy Bain e ottenendo la partecipazione di 40 musicisti del calibro di Rob Halford, Dave Murray, Adrian Smith e Yngwie Malmsteen (con il quale ripropone anche “Dream On”, celebre brano degli Aerosmith). Dopo aver partecipato, nel 1974, all’opera rock di Roger GloverThe Butterfly Ball and the Grasshopper Feast” (eseguendo, tra l’altro, le commoventi “Sitting in a dream” e “Homeward” e dimostrando una volta di più l’eccezionale versatilità della propria voce), nel 2000 Dio prende parte al “Concerto World Tour” dei Deep Purple per gruppo e orchestra e pubblica un proprio concept album, “Magica” – epopea fantasy sull’eterna lotta tra il bene ed il male – che preannuncia essere il primo di una trilogia. Nel 2007 il cantante lascia l’impronta delle mani (o, meglio, di un doppio “maloik”) sull’Hollywood Guitar Center’s Rockwalk, accanto a quelle di Jimmy Page e dei più grandi musicisti di tutti i tempi. Sempre nel 2007, la formazione di “Mob Rules” ritorna a sorpresa pubblicando tre inediti nella raccolta “Black Sabbath: the Dio Years” e poi – sotto il nome di Heaven and Hell – un intero nuovo album dal titolo “The Devil You Know” (2009), che apre una lunga stagione di concerti. Sembra che l’uomo sia eterno come la musica, che molti altri anni di poesia e di “headbanging” attendano i vecchi ed i nuovi appassionati di metal. Il 16 maggio 2010, invece, l’illusione si dissolve. Ronnie James Dio muore, portando con sé la speranza di nuove meraviglie ed un enorme pezzo della storia del rock. Alla cerimonia pubblica di commemorazione, il 30 maggio a Los Angeles, Glenn Hugues canta “Catch the Rainbow” (1975) e lo “Stand up and Shout” Cancer Found, istituito a suo nome, avvia una raccolta di fondi in favore della ricerca, dello screening e della diagnosi precoce delle malattie tumorali.
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Don’t Talk to Strangers (Holy Diver – Mercury, 1983)
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I re e le regine, i maghi e i cavalieri, i guerrieri antichi e moderni della sua musica, però, non muoiono con lui. “The knife can’t cut the hero down” (I, 1992), per dirlo alla maniera “heavy”. Rimangono le atmosfere rabbiose e struggenti, le paure ancestrali degli uomini, l’alienazione della metropoli, la violenza sui bambini (raccontata in “Give her the gun”, 1993), le speculazioni sui più deboli (“Tv Crimes”, 1992), l’amore tormentato ( “Country Girl”, 1981), l’oppressione del potere (“Stargazer”, 1976). La sua voce straordinaria, dagli incredibili armonici, cambia ancora ad ogni nuovo ascolto per essere calda e fredda, dolce e terribile, avvolgente come una carezza e tagliente come un artiglio, in ogni diverso momento. Rimane un mondo intero raccontato in musica, un mondo dagli scorci epici ed oscuri, popolato da un’umanità derelitta e sognatrice, eppure capace di trovare in se stessa il coraggio che la vita richiede, ogni giorno, per essere vissuta. E la morte? Sì, rimane anche quella. In molte forme ed in molte canzoni diverse, ma, soprattutto, in “After All (The Dead)” (1992), capolavoro metal di emotività e lucido agnosticismo. “It says in a book I once read/ Yes, there’s a chance of returning/ Turn to me…”.

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine