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La Corrispondenza: uno scambio amoroso che va oltre l’amore stesso

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La Corrispondenza: uno scambio amoroso che va oltre l’amore stesso

La corrispondenza

La corrispondenza

A pochi anni dalla Migliore offerta, Tornatore torna dietro la macchina da presa per parlare ancora una volta d’amore, avvolgendo la trama e i suoi personaggi in un fitto alone di mistero che tiene il film in bilico tra dramma e fantascienza, facendolo però scivolare rovinosamente – e involontariamente – verso un grottesco patetismo tipico del nuovo cinema italiano dal quale invano vorremmo allontanarci.

Scritto, sceneggiato e diretto da Peppuccio Tornatore (e qui, forse, risiede il primo grande errore visibile in questo film), La corrispondenza parte come una banalissima storia d’amore, quella tra Ed ed Amy, due persone vicine per professione ma in realtà estremamente diverse, per ceto e condizione. Il loro rapporto è invidiabile, davvero, così forte, così passionale… il legame che li unisce pare indissolubile: per questo la di lui sparizione nel nulla, di punto in bianco, preoccupa la giovane Amy fino a turbare la sua quotidianità. Ma c’è poco di cui preoccuparsi, in fondo, se lui continua a cercarla e a preoccuparsi per lei come se nulla fosse accaduto.

Non è la prima volta che il cinema e la letteratura affrontano una storia come questa e forse Tornatore ha voluto provare a raccontare questo amore a modo proprio, provando goffamente a conferirgli un taglio più giovane, più contemporaneo. Peccato, però, che l’impresa riesca a metà e quello che doveva essere un tragico dramma amoroso si trasforma, ben presto, in un ridicolo polpettone tragicomico dai grotteschi risvolti involontari, complici una sceneggiatura troppo “elevata” nella forma ma scarna e fragile nei contenuti e un missaggio audio pari a quello di una telenovela sudamericana. La faccenda diventa assai più grave nel momento in cui il regista siciliano decide di scomodare l’astrofisica e la fisica quantistica per raccontare la sua storia, evidente com’è la sua totale incapacità di governarli. Tornatore, in fondo, è un regista popolare e popolano, che parla al volgo nella lingua che il popolo stesso vuole ascoltare per staccarsi dalla massa, per sentirsi migliore. Non dovrebbe stupire, quindi, se molti suoi film si camuffano di intellettualismo ma si trasformano rapidamente in un fotoromanzo (Baarìa docet, d’altronde, e non solo).

È un gran peccato, se pensiamo che Tornatore ha avuto dalla sua un attore come Jeremy Irons, completamente appiattito dal doppiaggio di un altrimenti talentuoso Luca Ward, qui costretto suo malgrado ad una recitazione così impostata e teatrale da risultare sopra le righe e, a tratti, ridicola. D’altro canto, invece, il doppiaggio sembra quasi “salvare” la meravigliosa Olga Kurylenko, così bella che quasi ci si chiede perché abbia deciso di lasciare la moda per cominciare a recitare. Ma se è vero che si intravede un miglioramento dai tempi di Quantum of Solace, allora forse ha ragione Jeremy Irons, forse la meravigliosa Olga ha quel qualcosa in più che col tempo la farà esplodere come merita. Attendiamo fiduciosi.

di Luna Saracino