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Equilibrio estetico e audacia narrativa in The Housemaid

the-housemaid-poster-usa-2Im Sang-soo rivisita in chiave contemporanea e con una ricercatezza estetica il classico di Kim Ki-young

 

Correva l’anno 1960 quando il coreano Kim Ki-young firmava The Housemaid, un capolavoro della cinematografia orientale destinato a diventare una pietra miliare. Im Sang-soo si rapporta coraggiosamente all’originale, modificandolo nella forma, nel punto di vista, nello status sociale dei personaggi e nel loro ruolo all’interno dell’economia del film, e conservandone invece la struttura drammatica.

La protagonista è Euny, la domestica del titolo, figura lontana dalla femme fatale del film di Kim Ki-young. Per necessità accetta il lavoro di cameriera a casa di una ricca famiglia, prendendosi cura della figlia molto educata e preparandosi anche ad accudire i gemelli in arrivo. Ma ben presto la gentile Euny diventa, suo malgrado, oggetto di una seduzione autoritaria nonché vittima di un complotto mortifero perché aspetta un figlio dal padrone.

I personaggi del (libero) remake si muovono in un contesto scenico di rara bellezza come se fossero manichini senza umanità, ad eccezione della protagonista interpretata da Jeon Do-yeon (premiata a Cannes nel 2007 come migliore attrice protagonista). Euny, infatti, trasuda emozioni e sentimenti, sente il naturale desiderio di stabilire un contatto con il mondo circostante, nonostante i suoi abusi, rifiuti e tradimenti. Sarà proprio il persistere della sua essenza reale e sensibile a spingerla verso una decisione tanto drammatica quanto inevitabile.

Il film coreano si inserisce nella letteratura che pone al centro della sua indagine il rapporto servo/padrone, dove i ricchi hanno in mano la sorte degli sprovveduti. Ciò che inizialmente sembra una storia erotica a cui, però, passione e desiderio sono sottratti, si trasforma infatti in un agghiacciante thriller di potere declinato ai giorni nostri, in cui la netta distinzione delle posizioni lascia tuttavia la possibilità di imboccare un passaggio, tortuoso e rischioso, percorribile da chi voglia ribaltare i ruoli.

Il lavoro di Im Sang-soo, un esercizio di stile ricercato nella cura estetica dell’immagine e nella perfezione della costruzione scenica, gioca sul contrasto tra presenza/assenza di potere, di vita, di coscienza ricreando un ambiente asettico (una casa di bambole) e non a misura d’uomo dove si consuma il dramma di una donna la cui unica via di fuga, e di vendetta, è il sacrificio in quanto azione attiva e non subita.

Il potere implica l’azione, che è vita, l’immobilismo è proprio di chi muore subendo. L’intreccio circolare della narrazione porta Euny a compiere l’unico esercizio di potere a lei concesso, un gesto violento dall’impatto indicibile in cui l’annientamento di sé coincide con la conquista della vittoria e con la relativa sconfitta di un avversario apparentemente inoppugnabile.

La scena finale, quasi una postfazione dell’autore, rimarca la potenza della scelta di Euny (impressa in un’immagine meravigliosa e conturbante) a cui la vacuità dell’intervento messo in atto da coloro che inizialmente conducevano incontrastati il gioco non può porre rimedio.

 

di Francesca Vantaggiato
Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine