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Miracolo a Le Havre, una luce nel cinema e nello sguardo di Kaurismaki

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Miracolo a Le Havre, una luce nel cinema e nello sguardo di Kaurismaki

Di certo uno dei più indimenticabili film di Kaurismaki, Miracolo a Le Havre abbandona l’amarezza per concedere una speranza ai suoi emarginati

E’ dai tempi delle drammatiche solitudini tracciate da Le luci della sera (2006) che l’assenza del geniale regista finlandese Aki Kaurismaki pesa gravemente negli ambienti cinefili. Affacciatosi sul grande schermo nel 2007 per un fugace istante con La Fonderie – episodio breve del progetto Chacun son cinéma composto da 33 cortometraggi firmati da altrettanti registi (35 se si considerano i Dardenne e i Coen) della portata di Cronenberg, Assayas, de Oliveira, Angelopoulos, Lynch, Wong Kar-wai, Wenders, Ymou, PolanskiKaurismaki torna finalmente nella cabina di regia con l’essenzialità, la semplicità mai superficiale e l’affondo nelle questioni relative all’essere umano che contraddistinguono il suo tratto. Dopo la Parigi claudicante dove non si smette mai di sognare immortalata nel 1992 in Vita da Bohème – ispirato all’opera letteraria di Herny Murger e rivitalizzato dalla presenza dell’immancabile Matti Pellonpää e di André Wilms, protagonista anche di Miracolo a Le Havre – l’autore finnico esce dalla Finlandia per tornare in Francia, nella città portuale di Le Havre, e ritrarre con il suo sguardo diretto, questa volta speranzoso, la poesia del reale in tutta la sua magica verità. Miracolo a Le Havre, somigliante nel titolo e nella genuinità di luoghi e persone al fiabesco Miracolo a Milano del ’51 firmato da De Sica e Zavattini – parla di gente umile e decorosa che vive ai margini della società in un contesto modesto dove ‘non avvengono i miracoli’ (come dice Arletty). Marcel Marx (André Wilms), ex scrittore e clochard, sbarca il lunario facendo il lustrascarpe e, insieme alla devota moglie Arletty (interpretata dall’attrice feticcio Kati Outinen, vincitrice nel 2002 a Cannes come migliore attrice nel film L’uomo senza passato) e alla cagnolina Laika, vive in un quartiere povero dove la solidarietà regna sovrana. Un giorno, la malattia entra nelle loro vite divorando spietatamente Arletty e, contemporaneamente, il giovane immigrato Idrissa (Blondin Miguel) approdato dall’Africa e braccato dalla polizia si affaccia bisognoso d’aiuto nella quotidianità turbata di Marcel. Per raggiungere l’Inghilterra e ricongiungersi con la madre, il colto Idrissa ha bisogno di nascondersi per il tempo necessario a raccogliere i soldi e imbarcarsi. Marcel prende a cuore la sua causa e, aiutato dalla generosità del vicinato, lo protegge dalle indagini del meticoloso commissario (Jean-Pierre Darroussin), che non manca di dare prova di grande umanità, e dalle soffiate di un vicino che fa la spia (il tanto caro a Truffaut Jean-Pierre Léaud, l’Henri Boulanger di Ho affittato un killer). Insieme al fidato Timo Salaminen (fotografia) e a Timo Linnasalo (montaggio) Kaurismaki costruisce la messa in scena e le da ritmo con movimenti di macchina moderati che insistono sull’intento di condurci dritto al cuore dei personaggi senza inutili dirottamenti o indugi sull’accessorio. Ancora una volta non è nella borghesia che l’occhio del maestro finlandese cerca l’incontaminato per cogliere il senso profondo dell’esistenza umana bensì negli anfratti sociali più umili sottoposti alla sopraffazione, all’emarginazione, alla malvagità. L’immigrazione e le scelte di dubbia morale con cui i governi affrontano la questione e liquidano vite entrano a pieno titolo nel mirino di una macchina da presa abile nell’esplorare i disagi più intimi dell’uomo. In questo campo d’indagine, dove la sensibilità verso i personaggi è mescolata alla consueta dose di stravaganza, non è difficile intuire lo schieramento di Kaurismaki – mai neutro nei confronti delle sue creature – e cogliere l’auspicio lanciato dall’autore affinché lo spirito di fratellanza di cui il film si fa stendardo diventi lo specchio della società in cui viviamo. Il re degli ossimori, fondatore del Midnight Sun Film Festival, continua a giocare sugli opposti per creare senso e offrire, tra riso e lacrime, soluzioni impensabilmente possibili. Doloroso, delicato, pieno di momenti di commovente drammaticità e straordinaria bontà, Miracolo a Le Havre è una scelta di prospettiva orientata verso il favolistico carica di quell’insperato ottimismo a cui Kaurismaki non ci ha abituato durante la sua prolifica attività. Pur non rinunciando a criticare con anacronistica attualità la politica francese in materia di immigrazione (l’episodio che ruota intorno a Idrissa allude allo smantellamento della jungle di Calais per volontà di Sarkozy avvenuto nel settembre 2009) o a infilarsi nella cattiveria dell’animo umano, l’ultimo lavoro esistenzialista di Kaurismaki (dato dalla critica per vincitore a Cannes 2011) spalanca le porte all’eventualità di un altro mondo possibile dove, miracolosamente e per volontà dell’uomo, il male può essere spazzato via. Preziosa come l’inaspettata carezza di un padre poco affettuoso, Miracolo a La Havre è l’appello commovente alla fiducia di un sognatore (dis)incantato che si confronta con la decadenza economica e morale del suo tempo.

di Francesca Vantaggiato