Il regista di Mystic River affronta una delle più controverse e affascinanti figure americane, Hoover, a capo dell’FBI per circa mezzo secolo
Con J. Edgar, Clint Eastwood si è imbattuto in un biopic su J. Edgar Hoover, personaggio impegnativo e controverso, una delle figure di maggior spicco del Novecento americano dalle imperscrutabili zone d’ombra. A capo dell’ FBI per circa 50 anni, in carica durante i mandati di ben 8 Presidenti – da Coolidge a Nixon – e tre guerre, Hoover è diventato l’uomo più potente di tutti gli Stati Uniti d’America. Infaticabile fino alla sua morte avvenuta nel 1972, Hoover ha rivoluzionato il sistema federale, ha combattuto il gangsterismo – spesso infrangendo le regole per proteggere i suoi connazionali – fino ad implodere nel suo ruolo e in una struttura di cui perderà il controllo. L’ex attore – ormai dedito solo alla regia – Eastwood ha voluto indagare le vicende private e pubbliche di un uomo enigmatico che ha affascinato l’America, affidando a un ineccepibile Leonardo DiCaprio – per la critica, in corsa agli Oscar con questa interpretazione – il ruolo principale. Ancora una volta Eastwood si è confrontato con vicende umane inserite nella fitta trama di una storia più grande, innescando sentimenti d’accoglienza controversi. Rispettivamente, nel cast artistico e tecnico del progetto, oltre al sopracitato DiCaprio, compaiono Naomi Watts nel ruolo della fidata segretaria Helen Gandy, Armie Hammer in quello di Clyde Tolson, collaboratore più vicino di Hoover nonché intimo amico e segreto amante, Judi Dench nei panni della madre di Hoover, e lo sceneggiatore Dustin Lance Black, firma dello script del biografico Milk diretto da Gus Van Sant e interpretato da Sean Penn, e Tom Stern storica ‘mente fotografica’ di Eastwood che in questa opera avvolge la storia in toni noir. In una narrazione dove l’indagine rimbalza costantemente tra intimo e sociale, Eastwood procede per omissioni, talvolta calibrate, altre percepibili come lacunose. Il regista di Mystic River, del doppio punto di vista bellico Flags of Our Father – Lettere da Iwo Jima, di Changeling ha sollevato non poche critiche in patria, dove J. Edgar ha avuto un’accoglienza tiepida, e si presta anche questa volta – era già successo con Hereafter – a una lettura difficile da definire totalmente favorevole. Pecca il trucco, in particolare per il personaggio di Clyde Tolson, il doppiaggio italiano infastidisce e nella sua globalità il film inciampa in una verbosità discutibile. Con un po’ di rammarico, possiamo dire che J. Edgar non è annoverabile tra i più riusciti film eastwoodiani.
di Francesca Vantaggiato