Il protagonista errante di questo intenso soliloquio rovescia parole sul mondo, sul pubblico, mentre dal cielo cade incessante una pioggia carica di valenze simboliche. Una pioggia che annebbia i contorni, che rende liquidi i confini tra il sé e l’altro, che rende spasmodica e convulsa la sequenza dei ricordi. Un monologo senza respiro, un’unica frase, un fiume dirompente di parole.
Ed è così, in maniera confusa ed ossessiva, che il giovane uomo racconta la sua solitudine, il suo sentirsi straniero, diverso, esiliato, vagabondando di notte, alla ricerca di una camera. Struttura quel mondo notturno e visionario in un linguaggio privo di punteggiatura, fatto di parafrasi e ripetizioni, denso di rabbia e nostalgia.
La tensione drammatica si snoda attraverso aspri odori, e sensazioni dolorose, creando un percorso emozionale in cui il protagonista diventa paradossalmente leggero, quasi impalpabile, e si perde. Si perde nella sua foresta, quella del lontano Nicaragua, idilliaco territorio in cui non ci siano eserciti, né controllo. E ci porta con sé in un abbraccio a tratti molesto e a tratti tenero, combattuto tra la sua difficoltà di essere e la sua smania di vivere.
La notte poco prima della foresta venne rappresentato per la prima volta al Festival di Avignone nel 1977, da un Bernard- Maria Koltès allora ventottenne.
Juan Diego Puerta Lopez, regista e coreografo colombiano, è l’artefice di questo progetto drammaturgico che, perseguendo il suo percorso di ricerca teatrale, dirige un duttile
Claudio Santamaria e si avvale di linguaggi multipli in grado di attraversare simultaneamente, come la pioggia del testo, aree emozionali diverse.
Grande appassionato e conoscitore del teatro, Claudio Santamaria passa da un palco all’altro mentre prepara film di prossima uscita.
Eccezionalmente le musiche originali sono di
Giuliano Sangiorgi, cantante dei
Negramaro con la regia di
Juan Diego Puerta Lopez.
di Manuela Tiberi