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I diari di Indro Montanelli scritti tra il 1957 ed il 1978

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I diari di Indro Montanelli scritti tra il 1957 ed il 1978

I_conti_con_me_stessoCi sono libri che hanno il pregio di recuperare l’autenticità delle cose, troppo spesso falsata da una vulgata che si diffonde e, imponendosi, diviene dominante.

 

I conti con me stesso” – ossia i diari di Indro Montanelli relativi ad alcuni anni compresi tra il 1957 ed il 1978 – appartiene sicuramente a questa categoria, perché ci restituisce la dimensione più vera del grande giornalista, <<borghese fino al midollo>> come lui stesso amava definirsi, anarchico-conservatore e uomo capace di andare autenticamente controcorrente.
Negli ultimi anni della sua vita, quelli successivi alla fuoriuscita da “Il Giornale” e alla fondazione de “La Voce”, di lui si è parlato solo in chiave antiberlusconiana, venendo così osannato anche da chi per decenni lo aveva sottoposto alle critiche più ingiuste e meschine.
Montanelli, in realtà – che pure nei diari non risparmia all’attuale premier battutine al vetriolo, come quando lo bolla come autentico <<climber che approfitta di tutto e non butta via nulla>> – per più di un ventennio, fino alla rottura coeva alla discesa in campo di Berlusconi, aveva avuto con lui un ottimo rapporto, arrivandolo a definire in più occasioni un editore ideale.
Erano stati altri i bersagli polemici della sua vita: l’ipocrita politicamente corretto e la sinistra, specie quella radical-chic e salottiera, che detestava con intensità pari a quella con cui veniva ricambiato.
Un brivido corre lungo la schiena a leggere le parole che Montanelli annota nel suo diario subito dopo l’attentato subito il 2 giugno 1977 ad opera delle brigate rosse, che gli spararono nelle gambe quattro pallottole di rivoltella calibro nove: <<in due salotti milanesi – quello di Inge Feltrinelli e quello di Gae Aulenti – si è brindato all’attentato contro di me e deplorato solo il fatto che me la sia cavata>>.
Ma Indro non perde la sua ironia e arguzia neanche in questa occasione: è <<la notizia che in fondo mi fa più piacere>>, scrive, perché <<dimostra che, anche se non sempre scelgo bene i miei amici, scelgo benissimo i miei nemici>>.
E si rimane davvero di stucco nell’apprendere che mentre tutti i giornali escono con titoli a sette colonne in cui campeggia il nome del principe dei giornalisti, due autorevoli quotidiani lo omettono: il Corriere della sera – ossia il giornale per cui Montanelli scriveva, allora diretto da Piero Ottone – <<fa la cappella più grossa>>, <<titola su cinque colonne sul centro pagina: “attentati contro giornalisti”, mettendo il mio nome solo sul sommario>>; idem La Stampa: Arrigo Levi, <<dopo consulto telefonico con Ottone, aveva a sua volta evitato, nel titolo, il mio nome>>.
Ma non c’è solo questo nei diari montanelliani.
C’è anche il racconto di grandi protagonisti del mondo del giornalismo, della politica e della cultura. Avvincenti le pagine sullo Spadolini direttore del Corriere della Sera, su Saragat, La Malfa, Montale, Ionesco, Borges e Mack Smith, spesso proposti in chiave inedita o alla luce di particolari poco conosciuti.
Ma forse le più belle sono quelli su Dino Buzzati, che di Montanelli era grande amico: <<so che è divorato dall’angoscia>>, <<ho cercato di strappargliela di corpo, invitandolo a qualche confidenza. Nulla da fare. Immediatamente abbassa la saracinesca, e divaga. Lo fa cortesemente, anzi è proprio della cortesia che si serve per saracinesca. Ma nemmeno a me consente di avvicinarglisi. Sono trent’anni che cerco di parlargli e lui lo sa, e forse vorrebbe parlarmi anche lui. Ma non può. E’ un murato vivo. Ci guardiamo e ci vogliamo bene attraverso una grata>>. E la paura per le sue condizioni è grande: <<Dino, no, non devono portarmelo via>>. Il dolore per la sua morte, palpabile: <<Ora devo dimenticarmi di lui, scacciarlo dal pensiero e dagli occhi. Ma come, come?>>.
E non manca nemmeno la dimensione più strettamente personale, quella dei propri dolori e angosce e quella degli affetti.
Dolenti le righe in cui Montanelli, in vacanza a Cortina, tratteggia la depressione, ereditata dalla madre, che ciclicamente gli avvelenava la vita: <<i rintocchi dell’orologio di piazza … mi ricordano, di quarto in quarto, le ore di tre anni fa, disperate e vuote. La notte mi tappo gli orecchi con la cera per non udirli. Sono una delle poche cose che riescono a ricrearmi quegli stati d’animo d’angoscia, altrimenti irripetibili, quando la crisi è passata. Sotto la finestra, la tomba del mio cane Gomulka. Morì quando io non volevo più vivere. E ora provo un senso vago di colpa, come se l’avessi ingannato>>.
Ma c’è anche l’amore, quello per Colette Rosselli: <<Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutt’e due per il resto dei nostri giorni>>.
Un libro prezioso, che come ha scritto qualche giorno fa Mario Cervi – uno dei più fidati amici e collaboratori di Montanelli, compagno di tante battaglie – restituisce <<verità e anche crudezze su cui è stata versata opportunisticamente tanta, troppa melassa. Perfino più autentici e impietosi, questi ricordi, di ciò che l’impertinente Indro scriveva o diceva in pubblico>>.

Indro Montanelli
I conti con me stesso
Rizzoli
pp. 285
€ 21,00

di Rosa Maria Geraci

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine