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In concorso: In a better world (Hævnen)

In_a_better_worldIl film di Susanne Bier calderone di buonismi

Dopo Toronto, la Danimarca intera e l’Academy che lo ha scelto come candidato ufficiale danese al premio Oscar, anche il Festival del Film di Roma accoglie benevolmente il nuovo film di Susanne Bier con uno scroscio di applausi, standing ovation e chi più ne ha più ne metta.

In a better world (Hævnen in madrepatria) è un film drammatico sul rapporto genitori-figli e sull’uso improprio della violenza. Come termine di paragone massimo alla violenza quotidiana, la Bier sceglie di catapultare uno dei suoi protagonisti in Africa dove come medico è costretto a convivere con le guerriglie tra tribù. Una scelta quanto mai discutibile e un po’ appiccicata, per questa pellicola al limite tra film pedagogico e dramma sentimentale, in cui anche il tema della guerra proprio non avrebbe spazio.

Protagonisti della storia sono due bambini: Christian, il novellino giunto in Danimarca dopo la morte della mamma, e Elias, la vittima preferita dei bulli della scuola. I due stringono una forte amicizia quando Christian, nel tentativo di difendere Elias e rafforzare la propria “immagine”, stende con estrema ferocia il bullo Sofus. Da qui parte un’escalation di violenza che avrà la possibilità di svilupparsi grazie anche all’assenza dei genitori, impegnati con i loro già ben gravi drammi. Il padre di Christian, da poco rimasto vedovo, non riesce ad avere un rapporto sincero col figlio, così come i genitori di Elias, in procinto di divorziare, si dimostrano più insicuri e fragili dei loro stessi figli.

Al di là dei facili buonismi e della retorica che abbondano – non per risultare trogloditi, ma abbracciare e coccolare un figlio che ha appena realizzato una strage è un concetto molto lontano dalla realtà di qualunque cultura – , In a better world ha il pregio di avere un’ottima regia e una fotografia molto suggestiva. Il lavoro sugli attori è curato nel minimo dettaglio e persino i giovani protagonisti regalano una performance migliore di molti dei loro colleghi professionisti. Oscar o no, questo film lascia comunque l’insoddisfazione di non aver visto qualcosa almeno all’altezza dei precedenti lavori della Bier.

di Roberto Pagliarulo