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Romacinemafest 2011: Il paese delle spose infelici

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Romacinemafest 2011: Il paese delle spose infelici

Crescita e disperazione nel primo lungometraggio di Pippo Mezzapesa

Il primo lungometraggio di Pippo Mezzapesa – talento emergente da tenere sott’occhio – è stato presentato alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (selezione ufficiale, in concorso).

Il paese delle spose infelici è tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati, che nel 2009 ha vinto il premio Mondello. Come il libro, anche il film racconta una storia fatta di crescita e polvere, fascino e degrado. Protagonisti, due ragazzi adolescenti di un paesino pugliese: Veleno (Nicolas Orzella), quindicenne di buona famiglia, che inizia a frequentare un giro così diverso dal suo mondo, così “sporco” rispetto agli agi in cui è abituato a vivere; Zazà (Luca Schipani), indiscusso talento calcistico che si staglia come un leader all’interno di un gruppo di ragazzi dalla vita difficile. Ma la tormentata adolescenza di un sud degradato e impietoso non è la sola protagonista della storia. A irrompere in essa, con un carico di sensualità e disperazione, c’è una figura femminile: Annalisa (Aylin Prandi). La ragazza, dopo essere sopravvissuta ad un “volo” dall’alto di una chiesa, diventa una figura centrale nei pensieri e nelle giornate di Veleno e Zazà. Ma nel paese delle spose infelici sembra aleggiare una condanna alla deriva…

Mezzapesa, dopo essersi cimentato in documentari e cortometraggi (coi quali ha iniziato a imporsi all’attenzione di pubblico e critica), esordisce nel mondo dei lungometraggi con una storia che a tratti appassiona e affascina, ma non convince del tutto.

Nel suo ritratto di una Puglia un po’ ai margini, dimenticata e condannata alla povertà (quando non alla malavita), il regista riesce a regalare immagini efficaci e suggestive, merito anche di un buon lavoro di scenografia (Sabrina Balestra) e fotografia (Michele D’Attanasio). Eppure si calca la mano più del necessario, estremizzando situazioni, immagini, atmosfere, col risultato di rappresentare un mondo dove la terra è più fangosa, le vite più miserabili, il grigio ancor più grigio di quanto non sia lì fuori, nel mondo reale.

Un mondo in cui è difficile crescere e diventare adulti, come molte altre pellicole prima di questa ci hanno insegnato, un mondo di cui sarebbe bello scoprire inedite sfaccettature, nuove angolazioni e – perché no? – nuove storie. Un mondo così cangiante e vario, che tuttavia nel film appare sempre uguale a sé stesso, sempre lo stesso mondo da cui sarebbe meglio andar via. Pedalando a tutta velocità su una bicicletta o lanciandosi forse dal cornicione di un palazzo.

di Silvestro Capurso