In occasione della fiction Rai “L’Oriana”sulla vita di Oriana Fallaci, diretta da Marco Turco, il nipote Edoardo e la sorella Paola raccontano particolari e retroscena inediti
Il 22 febbraio del 2006, Oriana Fallaci riceveva, dal presidente del Consiglio Regionale della Toscana Riccardo Nencini, una medaglia d’oro quale “bandiera della cultura toscana nel mondo”. A quasi dieci anni da quella data, Rai Uno l’ha ricordata con una fiction in due puntate, “L’Oriana”, e anche parenti stretti ne hanno svelato aneddoti inediti. La miniserie è stata girata, infatti, in parte in Toscana, ma anche in Tunisia, in Vietnam e Grecia, terre che sono state patria delle sue passioni: per il giornalismo, nel denunciare i soprusi sui Vietcong ad esempio o nel documentare la guerra del Vietnam; e del suo amore per Alekos Panagulis. La miniserie ci racconta soprattutto l’Oriana attivista. In realtà il nipote Edoardo Perazzi, unico erede, rivela quanto amasse anche cucinare e ricamare. Egli, in un’intervista a “Di Più TV” (n. 7 del 17 febbraio), la descrive come una “donna generosa, spiritosa, ma brusca e scostante poiché voleva apparire sempre forte e dura”. “Aveva un caratteraccio ed era pronta allo scontro con tutti”, aggiunge Perazzi, gelosa com’era dei suoi affetti (i genitori e le sorelle in primis, verso cui era molto protettiva). Compresi i suoi libri. Ed è per questo che, anche se non viene raccontato nella fiction, non volle sentir ragioni e non acconsentì alla realizzazione di un film dal libro “Un uomo”, incentrato sulla figura e sulla personalità di Panagulis, che amava follemente. Anche se la proposta venne da Robert De Niro. Così come quando fu la volta del regista svedese premio Oscar Ingmar Bergman, che intendeva fare un testo teatrale dal suo delicato manoscritto “Lettera a un bambino mai nato”. Tasti troppo dolenti per una donna vanitosa, fiera, orgogliosa, ribelle, ma anche attenta alla sua femminilità; non solo nell’aspetto fisico, in un’apparenza autorevole, stimabile, precisa, ma in quanto soprattutto fortemente legata al tema della maternità. Amava essere sempre esteticamente ineccepibile, ma non fu mai superficiale accogliendo e sottolineando sempre le cause sociali ed umanitarie più importanti del momento in cui visse. “Una donna il cui unico rimpianto era non aver potuto avere dei figli”, straordinariamente ostinata e tenace, eppure capace di crollare di fronte alle foto dei figli del nipote Edoardo, davanti a cui si commuoveva, diventando a tratti persino vulnerabile e fragile.
A svelarne luci ed ombre, è la sorella minore Paola, in un’intervista a Vanity Fair. Ella, dapprima, la definisce un’ “arpia”, nel senso che, come tutte le Fallaci, “era una donna che ha sempre avuto il coraggio di ribellarsi, in primis al fascismo, dicendo pane al pane e vino al vino, a costo di essere odiosa”. Ed è proprio la “sua capacità di indignarsi”, che ha sempre ammirato. Poi ne rivela tutti i lati contrastanti ed oscuri, una donna che o si ama o si odia, che si fa ammirare e stimare, eppure reca sempre un lato di ostilità, poiché Oriana per prima “era sempre in rivalità col mondo”. Paola ne sottolinea le più profonde insofferenze impenetrabili, di una donna quasi inappagata pur nelle numerose soddisfazioni e nei successi raggiunti: “era sempre triste, angosciata, preoccupata e mai pacificata”. Quasi che sentisse il peso e la responsabilità di chi primeggiava in ogni circostanza e in ogni campo. Paola, non a caso, infatti, esprime nei suoi confronti massima venerazione: “Oriana aveva una marcia in più”, “Nessuno poteva competere con lei: era troppo intelligente”. Parole di elevato encomio verso di lei, che però sembrano darle consapevolezza di quanto potesse essere difficile per la sorella essere sempre all’altezza di tutto. Una donna “sicura di sé”, che è riuscita “a raggiungere nella vita quello che voleva, anche a costo di un’enorme sofferenza”, anche grazie alla sua enorme capacità di sopportazione.
Una donna apparentemente come tante, comune, semplice, umile, che “viveva con pochissimo, non si concedeva lussi, tranne la follia di qualche gioiellaccio ogni tanto”, che “non voleva rinunciare al suo lavoro” (all’epoca il fatto stesso di fare la giornalista di professione era già quello un traguardo), molto idealista a tratti. Con tono delicato Paola parla di Oriana bambina, come di una “sincera piccola partigiana”. Era coraggiosa Oriana, infatti; ma quello che fa più male, a chi l’ha ammirata quale scrittrice e giornalista e ai parenti, è che, come tiene a sottolineare Paola, “è sempre stata vittima di strumentalizzazioni”. Non le è stata data la giusta considerazione rispettosa, degna del suo alto senso dei principi etico-morali. Un esempio su tutti: “Nella scuola fascista, vinceva tutti i premi”, eppure fu in forte contrasto col fascismo stesso. Paola, poi, vuole rimarcare due aspetti forse poco noti o poco colti di Oriana: il suo linguaggio sofisticato, quasi poetico, con cui era in grado di trovare figure e immagini elevate ed insolite per esprimere concetti profondi, deriva dal fatto che, secondo la sorella, a lei “interessava soprattutto la bellezza dell’articolo; si riteneva una scrittrice, più che una giornalista”. Così, ancora, per ciò che concerne i legami sentimentali, confessa Paola: “Era piuttosto moralista, mia sorella. Un uomo, prima di tutto, doveva stimarlo intellettualmente”. Il fascino che una combattente, intellettuale, ed eticamente predisposta, poteva ammirare.
di Barbara Conti