Libero dal manierismo zeffirelliano, Cary Fukunaga si riappropria della rivoluzionaria modernità originale del testo per proporre la sua Jane Eyre
La tradizione letteraria britannica sta tornando prepotentemente di moda. A decretarlo è il grande schermo che, dopo aver mostrato alla 68. edizione del Festival di Venezia la versione esteticamente innovativa di Wuthering Heights (Cime Tempestose) realizzata dalla regista Andrea Arnold (Fish Tank), dal sette ottobre si prepara ad accogliere con entusiasmo le vicende goticamente romantiche di Jane Eyre. Diretto da Cary Fukunaga e distribuito dalla Videa, il film vede confrontarsi una coppia d’interpreti capaci di dare nuovo spessore e modernità ad una vicenda d’amore sicuramente universale ma dalle atmosfere rischiosamente anacronistiche. Attraverso il talento multiforme di Michael Fassabender, Coppa Volpi per l’interpretazione di Shame, e la fresca Mia Wasikowska (Alice in Wonderland, Restless), considerata una delle attrici più interessanti della sua generazione da autori del calibro di Tim Burton e Gus Van Sant, la relazione apparentemente impossibile tra il tormentato Rochester e la giovane Jane vive di una passione rinnovata che trova espressione in uno stile audacemente sensuale, capace di riprodurre tutta la scandalosa modernità del romanzo originale. “Non sono una persona emotiva – dichiara Fucunaga – ma ci sono scene così coinvolgenti tra Mia e Michael, e spero che lo siano anche per gli spettatori, che mi hanno quasi fatto commuovere. Si avverte il senso di disperazione e il forte desiderio in entrambi i personaggi”. Scritto da Charlotte Bronte nel 1847, il romanzo è sicuramente uno dei libri più amati da generazioni di lettori. Con al centro un’eroina definita dalla stessa autrice “modesta e piccola come me”, la vicenda è dotata di una incredibile forza evocativa, capace d’ispirare ben 18 versioni cinematografiche e 9 per la televisione. Tra le più illustri ricordiamo La porta proibita di Robert Stevenson, girato nel 1944 con il colossale Orson Welles e la timida Joan Fontaine, e Jane Eyre, firmata da Franco Zeffirelli nel 1996 con William Hurt e Charlotte Gainsbourg impegnati a dare vita ad un amore tardo ottocento. Ma è con questa nuova versione che il coraggio prende il sopravvento riducendo a semplice contesto il manierismo estetico con cui la vicenda è stata trattata dal cinema fino ad oggi. In una dicotomia tra forma e sostanza, Fukunaga riesce a costruire un universo dove il sentimento diventa ardito e la pulsione amorosa si fa tanto pressante da irrompere nelle rigide consuetudini di una società che sembra non ammettere il raggiungimento della felicità personale od anche il solo desiderio di questa. Così, dopo più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, Jane Eyre torna ad essere finalmente impudente e ardente nel suo desiderio. Là dove la rude virilità di Fassbender s’incontra con la femminilità trattenuta della Wasikoska si giunge all’identificazione di un amore che è incontro di anime e di corpi, una pulsione irrefrenabile che, non solo restituisce all’opera originale un significato fino a questo momento tradito dalle trasposizioni, ma senza vergogna alcuna rivaluta il significato di peccato e perdizione.
di Tiziana Morganti