Il lungometraggio documentario d’esordio di Ivan Gergolet apre a un tipo di danza rivolto all’esplorazione del nostro ritmo interno, dove anche la musica non è indispensabile e la perfezione fisica è solo un insignificante ricordo
Le artiterapie sono un’alternativa più che valida ai farmaci per chi soffre di disturbi psichici e non. È questo il tema trainante di Dancing With Maria, il docufilm di Ivan Gregolet. L’approccio al film documentario, specialmente se si tratta di un argomento molto specifico e settoriale, è spesso una questione per appassionati, e certamente di nicchia. Tuttavia non manca di coinvolgere il pubblico più ampio, soprattutto quello più curioso, non legato all’effetto speciale o al cast di grido. E così non è poi difficile appassionarsi ed apprezzare la forza di un’argentina come Maria Fux, classe 1922, ballerina e terapeuta dell’anima intesa come piena percezione del corpo.
Chi avrà la fortuna di poter gustare la pregevole fattura di quest’opera, prodotta da Transmedia in coproduzione con Imaginada Films e Staragara, per la regia di Ivan Gergolet, non potrà far altro che commuoversi davanti ai movimenti nello spazio di una ragazza che lo spazio intorno a sé non l’ha mai visto, ai teneri passi che avvicinano due ragazzi down, uniti non dalle parole ma dalla danza, e alle coreografie di una donna costretta dalla poliomielite a camminare con le stampelle. Maria dona una possibilità a tutti, perché il limite possa diventare un’opportunità, perché ciò che la danza le ha insegnato è che la diversità non è qualcosa di negativo e che ballare non può essere un privilegio per pochi.
Quest’opera è frutto di un percorso approfondito di studio del regista sulla vita di Maria e sul suo rapporto con la danza e con il corpo, culminato con l’introduzione della macchina da presa nel mondo di questa donna, una figura umana che ha cambiato la vita a tante persone, donando a tutti la possibilità di esprimersi e danzare, anche senza musica. In soli 75 minuti non è possibile avere un quadro completo di quest’artista, la quale non si concede mai totalmente alla camera, perché è attraverso i suoi allievi e le sue lezioni che è possibile arrivare all’essenza di ciò che lei è.
Il mondo della danza è un mondo chiuso, spesso rigido, e forse anche per questo colpisce molto lo Studio di Maria. Impossibile non pensare almeno una volta, durante la visione del documentario, di non partire per Buenos Aires per provare l’esperienza così coinvolgente narrata nel film. La generosità Maria Fux, che buca lo schermo e rapisce il pubblico sensibile che avrà la possibilità di godere di questo documentario, è colta nella sua essenza dal regista, ma non gli verrà data troppa visilità: il film infatti è distribuito, purtroppo, in pochissime sale rispetto a quante meriterebbe. Accogliete dentro di voi questa boccata d’aria fresca e forse, quando tornerete a casa, accennando qualche passo di danza nel silenzio della vostra camera, il pensiero andrà subito a Maria Fux e alle infinite possibilità dell’anima.
di Rosa Maria Pazienza