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In conferenza stampa, Brody racconta la sua esperienza nella giungla dei predatori

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In conferenza stampa, Brody racconta la sua esperienza nella giungla dei predatori

AdrienBrodyIn conferenza stampa, Brody racconta la sua esperienza nella giungla dei predatori

«Non credo possa esserci un ruolo paragonabile a quello che ho interpretato ne “Il pianista“.

A livello qualità di materiale e di narrazione è quasi impossibile trovare ruoli di quella levatura in giro. E’ stata una sfida interpretare un ruolo così drammatico, a prescindere dalla fase della carriera in cui mi trovavo. Il dilemma di questa professione è esattamente questo, devi riuscire a trovare un film che preveda un ruolo che ti parli e ti comunichi qualcosa di forte. Sono molto grato a Polanski per l’esperienza che mi ha regalato, ma non sta a me commentare la vicenda giudiziaria che ultimamente l’ha visto protagonista». Così esordisce in conferenza stampa il premio Oscar Adrien Brody. voluto nella giungla dal produttore Rodriguez per vestire i panni di Royce in “Predators“.
«Questo ruolo ha rappresentato per me una sfida, non sono il classico attore a cui si pensa per interpretare il protagonista di un film d’azione. “Predators” mi ha dato la possibilità di fare qualcosa di diverso da quello per cui sono conosciuto, mi ha permesso di essere un camaleonte. Sono un fan di questo genere, ho cercato di trasmettere al pubblico quello che sentivo fosse giusto far arrivare».
Per interpretare il suo personaggio, Brody è stato costretto a incrementare la sua massa muscolare, aumentando il suo peso di ben 15 kg: «Quello che mi interessava non era semplicemente modificare il mio aspetto fisico per entrare nel personaggio, mi sono allenato fisicamente, è vero, ma anche psicologicamente per acquisire qualità importanti a livello spirituale e mentale. Il mio è un personaggio molto interessante, è un essere umano indurito nelle emozioni, io volevo creare proprio questo, qualcosa di meno superficiale e di diverso da quello che crea Hollywood nei film d’azione, un personaggio con difetti ed eroico, un cattivo per il quale non si può fare a meno di fare il tifo».
Nella sua brillante carriera, Brody si considera molto fortunato per aver lavorato con persone come Peter Jackson e Robert Rodriguez: «Due uomini di grande esperienza sia per quel che riguarda l’intrattenimento che le tecniche di realizzazione. L’attaccamento particolare di Rodriguez e Antal al primo film, “Predator”, ha fatto si che un terzo del film fosse girato interamente nella giungla delle Hawaii, e lavorare in un contesto così realistico è stato un vero miracolo, eravamo immersi in un’ambientazione incredibile, completamente isolati dal mondo. Io mi allontanavo solo per mangiare e fare allenamento. Successivamente abbiamo girato negli Studios di Rodriguez che ha creato in maniera realistica l’ambiente curando tutti i dettagli. Anche il regista è un fan dell’originale, è stato parte integrante del progetto creativo e mi ha incoraggiato molto a creare un legame col personaggio. Quando in certi progetti si può contare su persone così tanto coinvolte emotivamente, alla fine si riesce sempre a dar vita a qualcosa di importante.».
In “Predators“, otto spietati assassini diventano prede di un nemico più grande: «E’ interessante inserire un gruppo di persone, predatori a pieno titolo, in una situazione che li costringe a diventare vittime, in una logica di espiazione dei loro peccati attraverso la quale comprendere il senso dell’essere vittima, dell’essere il più debole grazie al confronto con una creatura la cui bruttura di caccia e la sete di assassinio superano di gran lunga la loro. Uno scenario appassionante, quasi mitologico, un elemento fondamentale per un buon dramma, di qualsiasi genere».
“Predators” risulta quasi un film vintage, soprattutto nel montaggio: «Quando hai un dramma profondo che attira, in grado di mantenere l’interesse del pubblico per tutta la durata del film, non hai bisogno di ricorrere al genere di montaggio veloce che rimanda allo stile dei videoclip. Si ricorre a questo genere di montaggio per cercare di rendere interessante ed eccitante qualcosa che di per sé non lo è. Questo film ha uno stile un pò retrò perché ha qualcosa di non comune che è andato perduto nei blockbuster. L’obiettivo è quello di attirare il maggior numero di spettatori e lo stile con cui il film è stato girato rimanda indietro al modo di fare film degli anni ’70, a quelle pellicole che riuscivano a creare un collegamento e una sorta di eco nel cuore del pubblico, qualcosa di molto interessante che oggi è andato perduto. Il nostro intento era quello di far percepire il senso di solitudine e di vuoto, quando sei o pensi di essere l’unico sopravvissuto poni te stesso sopra ogni altra cosa e ignori il mondo intorno. Al giorno d’oggi conosciamo purtroppo certe realtà di guerra e anche se il film è intrattenimento, io volevo creare un personaggio che fosse molto dark, gravato dal senso d’isolamento provato e dalla costrizione a commettere dei crimini contro l’anima più che contro il corpo. In questo modo ho cercato di collegarmi col pubblico in maniera meno superficiale e più spirituale. Non abbiamo utilizzato effetti speciali particolari, le esplosioni e gli incendi erano veri e io ero ricoperto da sostante ignifughe che potevano proteggere la pelle. Trovo questo molto più interessante, sia nel farlo sia nel vederlo, e questo il pubblico lo percepisce».
E sui progetti passati e futuri, Brody commenta: «Ogni ruolo è importante perché rappresenta una sfida, ogni personaggio lancia delle sfide diverse per diventare credibile, quindi lo sforzo da affrontare per entrare nel personaggio è sempre diverso e intenso in ogni caso.
Ho diversi film in uscita quest’anno, che sono già conclusi, e sto per iniziare le riprese di “Detachment“, dramma diretto da Tony Kaye, il regista di “American History X“, a New York. Non mi dispiacerebbe riprendere questo ruolo, ovviamente laddove ci fossero gli elementi giusti per poterlo reinterpretare, ma molto dipenderà anche dal successo al botteghino. Comparirò anche in un cammeo nel prossimo film di Woody Allen, un dettaglio importantissimo che stavo per dimenticare di dirvi».

di Francesca Vantaggiato

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