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A dangerous method: i labirinti della psiche

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A dangerous method: i labirinti della psiche

L’ultimo film di David Cronenberg racconta la vera storia dei fondatori della psico-analisi

Zurigo, 1904. Il giovane e brillante psichiatra Carl Gustav Jung si trova a dover curare una singolare paziente, la giovane russa Sabina Spielrein, condizione sociale agiata e una storia di umiliazioni e violenze familiari alle spalle. La ragazza è affetta da una grave forma di isteria che le provoca comportamenti aggressivi ma ha anche una mente brillante, parla fluentemente il tedesco ed è intenzionata ad intraprendere a sua volta la carriera medica nel campo psichiatrico. Nel frattempo, le rivoluzionarie idee di Sigmund Freud stanno prendendo sempre più piede nel mondo della psichiatria, e lo stesso Jung, seguace delle teorie del medico austriaco, decide di applicare il suo metodo su Sabina. La ragazza migliora sensibilmente, ma intreccia anche una pericolosa relazione con il giovane psichiatra, mentre quest’ultimo, sempre più convinto che le teorie del suo maestro sul legame tra sessualità e disturbi emotivi siano insufficienti per spiegare la genesi di questi ultimi, inizia con questi un rapporto di amicizia prima epistolare, poi personale. Ma l’intreccio del sempre più intenso rapporto di Jung con Sabina, e della sua stimolante amicizia con Freud, porterà a conseguenze imprevedibili.

A Dangerous Method è un film nato da una piece teatrale che il suo stesso autore Christopher Hampton ha trasformato in una sceneggiatura; una storia che esplora da vicino i torbidi ed ambigui rapporti tra tre personalità che si riveleranno fondamentali per l’evoluzione della scienza psichiatrica del ventesimo secolo. A differenza degli ultimi film, nei quali David Cronenberg aveva puntato molto sulla violenza e sul sangue, questa storia punta molto a raccontare quelli che sono i labirinti della mente, le idee e le cause che conducono a determinate scelte e a determinati comportamenti.

La fotografia e la scenografia sono claustrofobiche; da notare, da questo punto di vista, la necessità di costruire degli ambienti che rispecchiassero quelli dove questi studiosi passavano gran parte del loro tempo e dove hanno portato avanti le loro ricerche più illuminanti. Lo studio di Freud è stato volutamente affossato da librerie e tomi enormi a voler rendere, probabilmente, l’idea di affossamento e di precipizio nei confronti di tematiche base come la psiche e la sessualità.

La regia è asciutta e ben poco ricercata, totalmente devota a quelle che sono le interpretazioni degli straordinari attori: il richiestissimo e inquieto Michael Fassbender che interpreta il giovane Jung, l’avvolgente e persuasivo Viggo Mortensen (Freud) fino ad arrivare al personaggio chiave della storia, Sabina, interpretata da Keira Knightley che, dopo aver abbandonato i corsetti di Pirati dei Caraibi, e dopo l’intensa interpretazione in Espiazione, riesce a rendere credibile un personaggio difficile quanto rischioso, passando dall’isterismo più feroce alla fragilità più delicata, fino a giungere ad una quieta consapevolezza di sé.

E, tuttavia, alla fine dei 100 minuti di film sembra che manchi qualcosa; forse dovuto al montaggio troppo meccanico, poco ricercato, troppo netto si ha l’impressione che i due filoni della storia che raccontano il rapporto Jung-Sabina e Jung-Freud non vengano sufficientemente approfonditi.

Di Francesca Casella