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Dream Theater: quando la musica non ha confini

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Dream Theater: quando la musica non ha confini

Dream_Theater_liveLa tecnica e la versatilità del gruppo prog-metal incantano il Palalottomatica

Sono passati più di vent’anni dalla comparsa di questo gruppo dell’east coast statunitense sulle scene hard’n‘heavy, eppure la loro musica è ancora capace di sorprendere come fosse la prima volta.

Mai uguale a se stessa e sempre in grado di rigenerarsi, come solo la vera arte sa fare, la produzione dei Dream Theater altro non fa che omaggiare ancora una volta la musica, in tutti i suoi generi e le sue sfumature. Per questo motivo ascoltare un concerto dei Dream Theater è un’esperienza davvero originale e senza eguali nell’ambito del panorama heavy metal, uno spettacolo in cui non è il genere ad essere protagonista ma la musica in quanto tale. Questo può accadere solo quando si hanno di fronte dei musicisti di alto livello, quali sono tutti, nessuno escluso, i componenti della band: dal batterista Mike Portnoy al chitarrista John Petrucci, vera anima dei DT e da sempre trascinatore dell’intero gruppo. Accompagnati e preceduti da altre band esponenti del genere progressive metal (Opeth, Bigelf e Unexpect) i Dream Theater hanno ancora una volta dato prova della propria arte, mostrando che un alto livello di tecnica altro non è che la traduzione di una passione viscerale nei confronti della musica. Assoli di tastiere, fra cui anche un omaggio allo stornello romano, e di chitarra, un mix di canzoni nuove e più e lontane nel tempo, ma tutte perfettamente rivelatrici dell’anima di questa band. Il pubblico del Palalottomatica ha potuto lasciarsi travolgere dalla maestria del mitico John Petrucci, che ha spesso introdotto con i propri assoli gran parte delle canzoni. Ad aprire lo spettacolo due brani, A nightmare to remember e A rite of passage, che insieme a The Count of Tuscany, hanno costituito l’unico assaggio del nuovo album. È stata poi la volta di classici come Erotomania e Voices, tratte dal terzo album del gruppo, Awake. Un solo brano invece, Forsaken, per Systematic Chaos, Hollow Years per Falling into infinity, e per concludere Take the Time, dal disco d’oro Images and Words. A rafforzare lo spettacolo una scenografia impeccabile e la simpatia e l’umiltà dei componenti della band, ormai perfettamente padroni della scena. L’esibizione ha invece privilegiato, a discapito dei brani, l’improvvisazione e l’esaltazione della melodia strumentale con assoli di tastiera e chitarra. Una scelta che rivela chiaramente la filosofia dei Dream Theater e costituisce l’ennesima prova per cui si ha la sensazione di essere di fronte a un gruppo che al di là del genere di appartenenza, mostra per la musica un amore davvero senza confini.

di Cristina Columpsi

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine