Sold out la tappa capitolina del solo acustico “Higher Truth”
Il calore e l’odore avvolgente del legno accolgono Chris Cornell nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, in un’atmosfera che accompagna l’autore nel set acustico di Higher Truth, ultimo album in studio caratterizzato dalle sonorità calde e profonde.
Onstage un tappeto persiano, un giradischi e un set di chitarre acustiche, per una voce che non ha bisogno di orpelli.
Chris Cornell, testa bassa e chitarra in mano, sale sul palco accompagnato dal polistrumentista Bryan Gibson e inizia il live con “Before We Desappeare”, dall’ultimo album che dà il nome al tour, rivelando immediatamente la sua potenza ed estensione vocale.
Frontman dei Soundgarden e musicista del cosiddetto “movimento grunge”, termine commerciale che viene troppo spesso utilizzato per descrivere semplicisticamente l’alternative rock degli anni novanta, Chris Cornell ripercorre sul palco dell’Auditorium la sua lunga carriera dialogando con il pubblico e accompagnando ogni canzone da una breve narrazione.
Ventiquattro brani, due nell’encore, che hanno, per due ore e mezzo, inondato l’Auditorium di emozioni forti. Testi incondizionatamente duri come la realtà, più attuali che mai, eseguiti con la calma di chi vuole parlare senza sovrastare, di chi ama e amerà sempre e non cambierà perché qualcuno gli impone di farlo.
Ed è proprio in “Can’t Change Me”, primo singolo da solista da “Euphoria Morning”, quasi irriconoscibile in versione solo acustico, che Chris Cornell ci fa capire chi è veramente, in una ballad riuscitissima e commovente. Si sposta verso le gallerie laterali, dove i fan riescono a vederlo solo per metà e finisce il suo brano di spalle alla platea.
Un gesto di grande rispetto per il pubblico, che smette per un po’ di essere spettatore e diventa protagonista.
“Questo brano è stato scritto nel 1964, l’anno in cui sono nato” e armato di armonica a bocca interpreta “The Times They Are A-Changin’ “ di Bob Dylan, ricalcando le note acute con il particolare timbro che rende la sua voce originale e distinguibile.
Cornell continua il suo live con una scaletta che alterna nuovi brani, come il primo successo di Higher Truth “Nearly Forgot my Broken Hearts”, pezzi dei Soundgarden dalle cupe e introspettive “Fell on Black Days” e “When I’m Down” a “Rusty Cage” in un’originale versione country, “Blow up The Outside World” e “Black Hole Sun”.
Non mancano i testi composti con gli Audioslave, il “supergruppo” nato dall’unione con alcuni membri dei Rage Against The Machine (Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk). Chris Cornell esegue, tra applausi e cori del pubblico, “Like a Stone” e “I’m the Highway”.
Le vere “chicche” le sforna, però, con i pezzi dei Temple of the Dog, una formazione nata nel 1990 a Seattle per commemorare Andrew Wood, amico e cantante dei Mother Love Bone, morto di overdose nello stesso anno.
La band era formata dai Soundgarden e da quelli che sarebbero diventati i Pearl Jam, Mike Mc Ready, Stone Gossard, Jeff Ament ed il cantante Eddie Vedder. Roba per veri fan.
Brani intensi e profondamente emozionanti come “Wooden Jesus” “L’ho composta a 23 anni, ero molto arrabbiato” ci spiega Chris Cornell prima di eseguirla, “Call me a Dog” e “Hunger Strike”, richiesta più volte dalla platea.
Nell’alternarsi dei brani spunta in scaletta One degli U2, con un testo differente e “Nothing Compares 2 U” di Sinaed O’Connor, eseguita con la giusta enfasi, l’accompagnamento al violoncello di Bryan Gibson e le corde vocali tirate all’estremo.
Pubblico in estasi, è migliore dell’originale.
Chris Cornell chiude il live capitolino con un’altra cover, una bellissima interpretazione di “A Day in the Life” dei Beatles, testo già significativo e onirico, cantato quasi ad occhi chiusi.
Una canzone profonda e malinconica che, metaforicamente, trascina il pubblico su un altro pianeta.
A risvegliarci dal sogno le luci che si accendono, nell’attesa dell’unico encore che ci viene concesso.
Di nuovo sul palco, ci racconta di quando ha incontrato la moglie e dedica al pubblico “Josephine”, un brano-serenata scritto per chiedere la sua mano.
L’ultimo pezzo è Higher Truth, che dà il nome allo stesso album, Chris Cornell registra con il pedale loop parti del brano e le ricompone in uscita, creando un effetto eco che lascia la sua presenza sul palco per qualche minuto dopo la fine del live.
Un solo acustico intimista, eseguito con la semplicità di un artista che ha vissuto tre vite e che esprime, con la sua voce estesa e leggermente sporca, testi difficili e intensi, condividendo con il pubblico le emozioni che lo inondano, ma mai lo sovrastano.
Chris Cornell a 52 anni è l’artista maturo che non esegue, ma racconta e lascia il segno.
di Valeria Ponte