La kermesse cinematografica si veste d’impegno sociale e politico con The Lady, dedicato alla lotta politica e personale di Aung San Suu Kyi
La sesta edizione del Festival di Roma si apre con il ritratto personale e famigliare di una donna il cui destino ha saputo conquistare e commuovere l’opinione internazionale. Dedicato all’attivista Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, The Lady, diretto dal francese Luc Besson e interpretato da David Thewlis e Michelle Yeoh, inaugura la sezione Fuori Concorso con un viaggio sentimentale all’interno della persecuzione politica e del profondo sacrificio umano a cui vengono sottoposti i diretti interessati e non solo. Imprigionata nella sua casa birmana dalla fine degli anni ottanta fino al 2007, anno in cui le venne concessa solo una libertà formale e non sostanziale, il destino di Suu e del marito inglese Michael ha conquistato il cuore di Besson tanto da indurlo a cancellare ogni impegno per dedicarsi con assoluta dedizione alla delicata ricostruzione di un percorso personale che, solo, casualmente, s’incrocia con la glorificazione pubblica. “La prova più difficile da affrontare è stato garantire un atteggiamento di rispetto nei confronti di una persona che, evidentemente, non ci è stato possibile incontrare e contattare personalmente in nessun modo – spiega il regista di Leon – Ma ho accettato questo rischio con l’idea di poter essere di sostegno alla sua causa. Il modo migliore per farlo è stato rispettare innanzitutto la realtà dei fatti e delle situazioni, per quanto ci è stato possibile abbiamo cercato di ricostruire alla perfezione i luoghi che hanno fatto da sfondo all’intera vicenda come la sua casa a Rangoon, mentre per le ambientazioni inglesi siamo riusciti a girare proprio nell’appartamento di Oxford in cui la famiglia ha vissuto per molti anni prima e durante l’impegno politico” Ad interpretare questa orchidea di ferro, come venne definita da un giornalista del Times, è stata chiamata l’eterea Michelle Yeoh che, proprio grazie ad una fisicità minimale e ad una certa gentile somiglianza, veste con grazia i panni di una donna tanto delicata nella forma quanto granitica nelle convinzioni. “Dare corpo sullo schermo ad una figura così rispettata a livello politico ed umano è stata una sfida enorme – dichiara l’attrice – ho cercato di non imitare i suoi pensieri ma di comprenderli nel profondo. Un percorso che ho affrontato attraverso lo studio della sua lingua e la visione di molti filmati che la produzione mi ha messo a disposizione. Non avendo la possibilità d’incontrarla e d’interrogarla sulle motivazioni delle sue scelte, ho dovuto affidarmi a delle sensazioni, a delle intuizioni che, carpite qua e la dalle immagini, mi hanno sostenuta nel ridare forma ad una parte di lei.” Per completare un racconto dal respiro umanitario e dall’interesse mondiale Besson ha voluto contrapporre anche momenti più intimisti che, attraverso il ritratto di un marito comprensivo oltre ogni umana aspettativa, non solo accetta ma sostiene il peso più evidente di una famiglia destinata alla separazione fisica ma non affettiva. David Thewlis, finalmente affrancatosi dal mondo di Hogharts e liberatosi delle vesti del professor Lupin, abbraccia la sorte di quest’uomo uomo che, nei lunghi anni della lontananza, ha combattuto una lotta tenace e costante senza recriminazioni o tentennamenti. “Quando mi è stato offerto questo film non sapevo esattamente quale sarebbe stata la mia parte. Pensavo ad un dignitario o ad un impiegato dell’Ambasciata Britannica, ma quando ho letto la sceneggiatura ho capito che il mio compito sarebbe stato ben più complesso. Sulla figura di Michael non si sa praticamente nulla, i rari filmati che lo coinvolgono ci propongono sempre un uomo molto serio e tendenzialmente triste. Fatta esclusione, però, per dei brevi passaggi che lo immortalano durante una delle poche visite in Birmania. Sceso dall’areo aveva un aspetto gioviale, allegro, quasi alticcio. Mi sono bastati quei secondi per capire la sostanza nascosta dietro la tragedia personale di cui ha sostenuto il peso senza mai vacillare.” Girato per gran parte in inglese, il film potrebbe attirare l’attenzione dell’Academy Awards per motivi artistici e non solo. Un evento che Luc Besson accoglierebbe con grande gioia visto che, come lui stesso ha dichiarato “Qualsiasi luce si accenda su Aung San Suu Kyi è la benvenuta.”
Di Tiziana Morganti