Edmund Budina muove la macchina da presa sulla linea di confine tra il suo Paese e la Grecia esibendo uno sguardo fine, ironico e lucido sulle diatribe etniche degli ultimi anni
Il regista di Lettere al vento torna a parlare della sua patria agganciandosi a un fatto tragicomico realmente accaduto cucito poi addosso alla storia albanese con l’intento di far riflettere sulle conflittualità di confine vissute con la Grecia. Una bara destinata alla Francia viene smarrita e consegnata per sbaglio all’Albania. Figlia (Catherine Wilkening) e nipote (Veronica Gentili) del defunto partono alla volta di Tirana per recuperare le spoglie del famigliare, imbattendosi in una realtà lontana e difficile. Edmond Budina conduce le sue protagoniste in un viaggio geografico e culturale all’insegna della scoperta dell’altro da sé, in un territorio sconosciuto dove la storia ha seguito percorsi tortuosi e l’incontro fra le civiltà è spesso uno scontro (non convenzionale) per l’affermazione. Il regista, apprezzato negli ambienti intellettuali albanesi e costretto a lavorare come operaio in Italia, sceglie di guidarci in questa avventura semiseria attraverso lo sguardo privilegiato e puro di due straniere. La distanza culturale dei due mondi portati al confronto esaspera l’impatto con la bizzarria degli usi e costumi trovati e, se nelle prime battute il dialogo con un sistema di segni incomprensibili è inevitabilmente ostico, nel corso degli eventi è destinato a sciogliersi nel segno del linguaggio universale riconosciuto all’amore.
Quando Jolie (Catherine Wilkening) si separa dal marito italiano (Luca Lionello), decide di tornare a vivere in Francia e di far rientrare le spoglie del padre nel suo Paese. Un incidente di percorso dirotta la bara in Albania e Jolie insieme alla figlia Orsola (Veronica Gentili) prende in mano la situazione dirigendosi prima a Tirana e poi in un paesino del sud al confine con la Grecia. Ambasciatrici di un universo di valori moderni, le due donne marcano il contrasto con l’atmosfera arcaica del luogo dove credenze popolari e religiose discutibili, velleità nazionalistiche combattute a suon di bare rubate e miscugli linguisti dalla naturale esplosione gioviale sono allo stesso tempo colore locale e dramma. In virtù del detto «là dove cade un soldato quella è la sua patria», nel 2006 i greci hanno iniziato a trafugare le tombe albanesi per riempire i propri cimiteri monumentali ed estendere con il sangue dei loro (e degli altrui) antenati le linee di confine.
Budina riprende alcuni elementi gergali del road movie e se ne appropria con intelligenza e agilità per ritrarre con toni tragicomici una controversa questione del suo Paese. Durante la conferenza che si è tenuta a Roma in occasione della presentazione del film, il cineasta ha provato a spiegare le lotte territoriali e culturali che dilaniano Grecia e Albania: se da una parte la Grecia ha avviato un commercio di resti umani per ripopolare i suoi cimiteri ed estendere il suo territorio, e la Chiesa ortodossa costringe gli albanesi a battezzarsi per avere accesso al lavoro in Grecia, dall’altra l’Albania non è senza colpe. Esiste, infatti, un comportamento diffuso tra i connazionali di Budina volto alla riscossione di un immeritato indennizzo statale greco richiesto pur non avendo mai prestato lavoro nel limitrofo Paese.
Sebbene i mezzi di Ballkan Bazar siano evidentemente limitati, sceneggiatura e resa visiva non risentono mai dell’insufficienza tecnica, rivelando un sostrato culturale e una vis comunicativa eccellenti. Budina aggira con dovizia registica gli intoppi e, seguendo il solco di una commedia sagace, dipinge una babelica e grottesca realtà dove la convivenza è faticosa e lo spirito di sopravvivenza calpesta l’onestà.
di Francesca Vantaggiato