L’omertà della Chiesa e il dramma della pedofilia. Quali colpevoli? Lo racconta il film di Alex Gibney, dal 20 marzo al cinema
Scalpiccio solenne. Processione di veli bianchi. La prima comunione. Il primo approccio spirituale ad una fede che si sfalda nel non detto, nel non dicibile. Dentro le mura di un edificio che educa. Al silenzio. Fede smarrita, sorpresa, martoriata dal tradimento del “padre”. Preti pedofili. La rete di (im)pensabili, taciuti abusi. Abusi di vite, di potere. Una scuola cattolica, prigione invisibile. La finestra amichevole del confessionale. Il prete che si avvicina, genitore putativo, voce solerte, affabile, disponibile e compassionevole. Nella quotidianità scatta la violenza. La violenza sessuale sistematica e organizzata. Il labirinto di un dramma che deturpa e disinganna troppo presto un’infanzia che non ha (più) cittadinanza.
Terry, Gary, Arthur e Bob. Tra gli anni’50 e gli anni ’60 studenti della St. John’s School for the Deaf. Quattro amici, sordomuti, ex compagni nell’istituto di Milwaukee (Wisconsin, Usa). Rinati dopo anni di corse contro mulini sferzati dal vento dell’omertà. Rinati con l’esplosione tangibile di una rabbia tutta udibile, nello stridio fremente di suoni gutturali, negli occhi lampeggianti, nelle mani agitate con animosità disciplinata ma non più contenibile. Abusati e messi a tacere. Doppia punizione per uomini un tempo distrattamente abbandonati alla Chiesa da famiglie lacerate, fragili, povere o rapprese nella reverenza borghese all’autorità religiosa. Uomini strappati precocemente alla fanciullezza, vampirizzati, derubati. Di dignità e di voglia di autodeterminazione. Costretti a terapie sofferte e ad anni di lotte legali. Mea maxima culpa, meticolosa, allarmante inchiesta del regista premio oscar Alex Gibney, comincia con una lettera che toglie il respiro poco a poco. Parole di vergogna e di rancore, di verità. Dattilografate sulle ombre di una scenografia mai incriminata. La cupola di San Pietro. Il Vaticano, l’isola politica, immune da colpe ma colpevole quanto i preti violentatori.
Testimoni diretti, vittime, vaticanisti, avvocati, prelati ed ex prelati, personaggi illustri, uomini comuni, ma nessuno dalla Curia papale, chiusa nel/dal silenzio. La storia dura da secoli, ma scoppia, bomba compressa, nel 2002, un articolo sul Boston Globe. Alla St. John’s quella storia di abusi è un fatto risaputo dagli anni ’50. Padre Murphy, molestatore seriale che “prende” oltre 200 ragazzini. Mostri voraci? Mostri controllati? Mostri? Criminali. Occultamente tollerati. Per evitare lo scandalo massimo e le destrutturazione (nonché crisi economica) della Chiesa romana. Gibney affronta lucido un percorso di redenzione impossibile e di crimine impassibile. Un sistema di paura e reticenza obbligata, di conservazione dello status quo anche con mezzi non ortodossi. La dottrina che disconferma se stessa. Il paradosso dell’istituzione clericale.
Chi conosce la verità? Tanti. Tra loro Bob, Arthur e Gary, i primi a denunciare tutto, nel 1973. All’arcidiocesi di Milwaukee, alla polizia, alla Santa Sede. Prescrizione, marginalizzazione, risposte negate. Murphy, come tantissimi suoi “simili”, viene semplicemente spostato, allontanato. Prima della bolla-pedofilia del 2002 e le incarcerazioni, i preti pedofili colti in fallo erano solo temporaneamente eclissati, in comunità apposite operanti da decenni per sedare il “problema”. O in altre diocesi, parrocchie, dove ricominciare ad libitum. Pedofilia sempre nascosta, mai studiata e denudata.
Una trama che arriva al Cardinale Ratzinger, non ancora benedetto XVI, ma capo della “Congregazione per la dottrina della fede”, che cercava e vagliava prove sulla pedofilia dei sacerdoti nel mondo. Un compito contrastato e in più tempi bloccato, dallo stesso Ratzinger. E che non ha proseguito nelle indagini dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II, amico personale, come da sua stessa testimonianza pubblica, di un personaggio ambiguo come Padre Maciel, tossicodipendente e pedofilo egli stesso, che raccoglieva centinaia di milioni di dollari ogni anno per la Chiesa. Una trama di nomi e diplomazie interne, che vede convolto e attivo l’arcivescovo gay Weakland, che tenta di far aprire un’istruttoria secondo il diritto canonico. A cui viene imposto il segreto istruttorio. Sigilli. Palliativi per accecare le coscienze.
Pedofilia, quale scandalo? Una verità annoverata negli archivi vaticani forse da secoli. Una verità che molti pretendono allo scoperto.
Murphy ha potuto riposare lontano dai riflettori e morire vicino ad una slot machine, nel Wisconsin. Centinaia di vittime scavate dal dolore, oggi parlano, con ogni mezzo. E chiedono solo giustizia.
TITOLO E CAST
Mea maxima culpa. Silenzio nella Casa di Dio
Regia di Alex Gibney
Prodotto da Jigsaw
Fotografia di Lisa Rinzler
Montaggio di Sloane Klevin
Produttori Kristen Vaurio
Co-produttore Sloane Klevin
Produttori esecutivi Lori Singer, Jessica Kingdon
Produttori Alex Gbney, Alexandra Jones
Produttore Maureen A.Ryan
Assistente alla regia Fred Blankfein
Scenografia Markus Kirshner
Direzione artistica Gonzalo Cordoba
Sottotitoli versione italiana a cura dell’Istituto Statale Sordi, Roma
In sala dal 20 marzo
di Sarah Panatta