I giovani inquieti di Gus Van Sant trovano nell’amore e nell’accettazione della morte la propria ragion d’essere
Gus Van Sant è un ritrattista adolescenziale dall’occhio sensibile, è un indagatore dell’inquietudine dal fare discreto, è un regista sempre all’erta che coglie il fluire del pensiero. Dopo aver esplorato il mondo di Milk, vero e proprio eroe della causa omosessuale nell’America degli anni settanta, il regista americano torna a concentrarsi sui turbamenti di due giovani ragazzi, Annabel (Mia Wasikowska) e Enoch (Henry Hopper, figlio di Dennis), le cui esistenze sono ‘disturbate’ dal pensiero della morte.
Annabel è pura vitalità, è attratta dalla vita in tutte le sue manifestazioni, ha una devozione sacra per Charles Darwin ed è una naturalista appassionata. Enoch è un ragazzo smarrito, fuori dal tempo e, momentaneamente, anche dal mondo, è un adolescente ai margini di una vita che sembra non appartenergli. Entrambi sono attratti dalla morte, in modi e per motivi diversi. Il loro primo incontro avviene nel segno della macabra attrazione per la morte, durante una celebrazione funebre alla quale Enoch partecipa pur non conoscendo la persona scomparsa. Gus Van Sant non spiega, si limita a mostrare svelando lentamente. In Annabel e Enoch scorgiamo un’insolita fascinazione per la morte, una dipendenza causata dagli irrisolti della vita che si concretizza seguendo traiettorie distinte. Enoch l’ha sperimentata sulla propria pelle nei giorni di coma seguiti all’incidente che ha ucciso entrambi i genitori, ai quali non è riuscito a dare l’ultimo saluto. Frequenta i funerali di persone sconosciute alla ricerca di un surrogato sentimentale in grado di colmare il vuoto dell’ultimo saluto mancato. Annabel è una malata terminale consapevole del limite temporale che incombe e decisa a non sprecare un istante dei giorni che le restano. Cerca ossessivamente negli studi naturalistici la spiegazione della vita in relazione alla morte. Lo ‘spettatore degli estremi saluti’ Enoch si offre di partecipare alla morte di Annabel guidandola, ignaro del cammino verso la guarigione che non senza intoppi sta per intraprendere.
Con la delicatezza di cui è capace e con l’originalità della trattazione, Gus Van Sant osserva lo scontro delle pulsioni vitali e mortifere – Eros e Thanatos – nella solitudine dei due protagonisti e nell’incontro tra i rispettivi universi, mostrando come solo dall’equilibrio dei due elementi in lotta possa derivare la rinascita dell’individuo. Enoch è pericolosamente sbilanciato verso l’annientamento di sé, è un corpo schiacciato dal peso della morte a cui non ha saputo contrapporre nessuna forza salvifica, è un adolescente intrappolato in uno stato di sospensione e rintanato in una non-vita dove l’unico contatto accettato è quello del fantasma Hiroshi (Ryo Kase), pilota kamikaze della Seconda Guerra Mondiale. Annabel è la quintessenza dell’energia, è la vita che si ribella alla morte, è un fiore rigoglioso che sta per essere reciso e per questo accoglie con sconfinata gratitudine ogni attimo strappato all’aldilà. E’ l’amore tenero sbocciato tra due esistenze fragili e sofferte a estirpare la paura del vuoto, un amore danneggiato e rinvigorito al tempo stesso dalla consapevolezza della mortalità.
Ritornando sulle tracce perturbate Paranoid Park, Van Sant tratta ancora una volta le angosce adolescenziali calandosi senza protezioni in un mondo dal quale gli adulti sono esclusi perché incapaci di comprendere. Con Restless è il legame sentimentale a farsi scenario da cui osservare le agitazioni giovanili dilaniate, questa volta, dal funambolico conflitto tra Eros e Thanatos. L’assunto di base è che nella morte l’esistenza trova la sua ragion d’essere, nella negazione dell’eternità prende corpo l’accettazione di un domani benevolo, nella consapevolezza della finitezza si attua la cessazione del dolore. La morte è un agente indecifrabile e condizionante, inizialmente mal gestito, che necessita di un viatico raggiungibile solo attraverso l’amore: dalla dissennata attrazione per essa all’approccio irriverente e giocoso, dalla messa in scena dissacrante al fallimentare tentativo di domarla e scacciarla, Enoch e Annabel sperimentano i propri limiti e li accettano, conquistando la libertà spirituale nel momento della resa all’imponderabile.
di Francesca Vantaggiato