Lo Schiaccianoci di Konchalovsky, quando un sogno lungo vent’anni si trasforma in un flop kitsch e hi-tech
Quando Tim Burton si è confrontato con la pulsante materia di Lewis Carrol per dare vita all’attesissimo Alice in Wonderland – vincitore non a caso dello Scream Award nel 2009 come Film più Atteso dell’Anno Venturo – il risultato ha deluso i più per la poca convinzione con cui l’immaginario gotico del regista ha affrontato la rilettura del testo, depotenziandolo. Oggi Andrei Konchalovsky presenta al grande pubblico Lo Schiaccianoci, il suo sogno nel cassetto da vent’anni realizzato solo ora grazie alle mature tecniche 3D, mancando anch’egli l’appuntamento con il capolavoro ispirato a una favola di grande fascinazione. L’audace e promettente operazione di transcodifica aveva tutte le carte in regola per raggiungere vette qualitative memorabili – se guardiamo ai ‘padri’ vediamo il testo del 1816 di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann che ispirò il balletto musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij e coreografato da Marius Petipa nel 1892 – e invece cade rovinosamente in scelte narrative e visive scadenti.
E’ la vigilia di Natale nella Vienna degli anni ’20. La piccola Mary (Elle Fanning) vorrebbe trascorrere insieme ai suoi famigliari questa notte piena di magia ma i suoi genitori escono per partecipare a un evento mondano importante per la carriera della madre. A fare da balia ai due fratelli è lo zio Albert (Nathan Lane) che, tra canzoni sulla relatività improvvisate sacrilegamente sulle note del compositore russo, favole fantasiose e regali speciali, allieta la serata ai nipoti. In particolare, è lo Schiaccianoci di legno a forma di soldatino ad attrarre l’attenzione di Mary. Il giocattolo donato dallo zio si rivela ben presto incantato: quando Mary si addormenta lo Schiaccianoci prende vita e la conduce nel suo regno fatto di fate e balocchi animati come lo scimpanzé Gielgud, il tamburino Stecco e il clown Tinker. Il regno dello Schiaccianoci, un tempo felice, è ora minacciato dal Re dei Topi (John Turturro) e dalla infida madre (Frances de la Tour) la cui intenzione è quella di ottenebrarlo bruciando tutti i giocattoli. A Mary spetta il compito di salvare il favoloso mondo in pericolo e lo Schiaccianoci, suo legittimo sovrano fatto prigioniero dallo spietato despota.
Al regista russo va riconosciuto il merito di essersi imbattuto in un soggetto maestoso, una fiaba a lieto fine che ci rammenta l’importanza del sogno e della fantasia dei bambini. Nobile causa a parte, il film pensato per il grande schermo dall’autore de I diffidenti e Tango & Cash si perde in un racconto senza mordente popolato da personaggi poco carismatici di scarso scavo psicologico, visivamente disturbanti e che appaiono come presenze quasi didascaliche. John Turturro sembra Andy Warhol stile pantegana a capo di un esercito di topi nazisti incaricati di ‘bruciare’ i giocattoli (macabra metafora dell’olocausto?), l’apparizione di Freud è l’inutile istruzione per l’uso alla materia onirica in arrivo e, come se non bastasse, ecco pronto lo ‘zio’ Albert a spiegarci che la percezione della realtà è relativa, giusto per rincarare la dose esplicativa. Il tutto è alleggerito dalla trasformazione delle musiche ‘sacre’ di Čajkovskij in canzonette frivole, sebbene la composizione dei testi porti la firma del pluripremiato Tim Rice. Lo Schiaccianoci hi-tech di Konchalovsky sfugge funestamente al passato glorioso della rappresentazione e, al tempo stesso, alla sua messa in scena attualizzata, risultando deludente e stordente sia per la superficialità sia per la pacchianeria con cui rende visibile l’immaginario tracciato da Hoffmann.
di Francesca Vantaggiato