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Lo Sciopero Generale del Pubblico Impiego

sciopero-14-06-2010_3La mobilitazione dei dipendenti pubblici contro la manovra economica 2010

Il posto pubblico, si dice spesso, è una meta ambita. Essere un dipendente pubblico, nell’immaginario collettivo, significa certezza della posizione giuridica, tutela della qualifica e della retribuzione, protezione dalla disoccupazione e dal licenziamento.

Si crede comunemente che lo scarso potere contrattuale dei lavoratori, che si manifesta pienamente nei rapporti privati, nel settore pubblico sia compensato da norme di legge dettate a favore del contraente debole e che anzi queste norme, quando eccessivamente protettive, compromettano la funzionalità e l’efficienza dell’amministrazione.

Lo sciopero generale del pubblico impiego, nella giornata del 14 giugno 2010, ha cercato di mostrare la verità dietro al luogo comune. I dipendenti pubblici aderenti a RdB e SDL (unitisi nella USB, Unione Sindacale di Base) e Cobas hanno sfilato a Roma, Milano e Napoli muovendo istanze e sollevando questioni che non lasciano dubbi e rivelano definitivamente la drammatica situazione in cui versa oggi la generalità dei lavoratori italiani. Precarietà, ricollocamento e mobilità, lungi dall’essere risolti nelle imprese private, hanno ormai invaso anche il settore pubblico e ci sono perfino casi nei quali la legge si sostituisce alla contrattazione e agli strumenti dell’autonomia collettiva (che devono regolare il rapporto di pubblico impiego al pari di quello privato, ai sensi della riforma del 1993) in modo lesivo dei diritti. È il caso, ad esempio, di circa 1300 lavoratori del Ministero delle Finanze, ex dipendenti dei Monopoli, che, comandati da anni presso enti locali ed altre amministrazioni dello Stato, sono destinati ad essere inquadrati ex lege (D.L. n.78/2010) presso gli enti fruitori a partire dal primo gennaio 2011, subendo possibili dequalificazioni (in assenza di specifiche tabelle di conversione) e la perdita certa di alcune componenti retributive e dei benefici del Fondo di Previdenza del Ministero. La stabilizzazione non avverrà più su base volontaria, come invece dovrebbe essere, e c’è chi si ritroverà con 3.000 euro in meno all’anno in busta paga e con la prospettiva del riassorbimento del differenziale di retribuzione, al quale avrebbe diritto, per il resto della vita lavorativa.

A Roma, davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in via XX Settembre, sono confluiti anche i lavoratori precari del Ministero dell’Ambiente e di quello della Giustizia che hanno manifestato contro la manovra economica. Al grido di “Vergogna! Vergogna!”, il corteo ha cercato di catturare l’attenzione del Ministro Tremonti e dei funzionari che, quella manovra, l’hanno scritta. Slogan come “Non pagheremo la vostra crisi!” sono stati la risposta alla mancata riassunzione del 50% dei precari del settore pubblico (tecnicamente, non si può neanche parlare di licenziamento), al limite al turn-over (solo il 20% del personale cessato potrà essere sostituito) ed al blocco delle retribuzioni per almeno 4 anni, alla definizione del tetto retroattivo del 3,2% per gli aumenti del biennio 2008-2009 (cioè, paradossalmente, i lavoratori potrebbero essere chiamati a restituire quote di stipendio già percepite), ai limiti particolari previsti per il Servizio Sanitario Nazionale e gli Enti di Ricerca, al blocco degli scatti di anzianità e alla sospensione (anche qui, ex lege) degli accordi contrattuali raggiunti per i dipendenti della Scuola, alla collocazione in sovrannumero (con conseguente rischio di licenziamento) per i dipendenti interessati dal contingentamento del personale, alla scomparsa del Trattamento di Fine Servizio, alla revisione dei coefficienti per il calcolo della pensione sulla base dell’aspettativa di vita e agli altri punti in agenda. I sindacati calcolano che circa i due terzi dei 25 miliardi della manovra deriveranno dai tagli al settore pubblico e dall’aumento dell’età pensionabile per le donne con 40 anni di età contributiva voluto dall’Unione Europea che, per ora, ha effetto esclusivamente sul pubblico impiego. Già i dipendenti pubblici subiscono la decurtazione dello stipendio in caso di malattia e sono interessati dal famigerato “Collegato” al lavoro che, oltre alle note norme in materia di conciliazione ed arbitrato, dispone (art. 13) la loro messa in mobilità in caso di esternalizzazione di attività e servizi. Si può ancora dire che siano dei privilegiati? In realtà, ed è sempre più evidente ormai, il privilegio non ha proprio alcuna attinenza con lo status giuridico del lavoratore dipendente. I lavoratori italiani, nei prossimi mesi, saranno impegnati in una lunga e difficile lotta con il solo obiettivo del riconoscimento dei propri diritti.

di Cristina Scatolini

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Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine