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Salutem et vitam tibi propino

Pompei - torta

Pompei – torta

Un viaggio da un millennio all’altro alla ricerca delle testimonianze linguistiche e di costume dell’antica Roma legate all’alimentazione sopravvissute all’incedere del tempo

La vita di una persona nella nostra società contemporanea è scandita da precisi appuntamenti che vincolano l’uomo. La giornata ha inizio alla mattina presto, e poco dopo ci si concede un primo pasto: la colazione. Dopo circa quattro ore di lavoro, c’è il secondo appuntamento della giornata, che denominiamo pranzo, con il cibo, mentre sarà la cena che chiuderà piacevolmente l’attività giornaliera di ognuno di noi. Durante la settimana lavorativa questi primi due pasti in Italia sono solitamente frugali, consumati fuori dalle mura domestiche o comunque piuttosto veloci, a differenza della cena che ha come caratteristica la possibilità di essere preparata con più calma ed attenzione.

Anche nella Roma antica erano tre i pasti principali: di prima mattina ne veniva consumato uno modesto chiamato ientaculum, a base di pane salato, formaggio, olive e uva secca.

La giornata lavorativa permetteva verso mezzogiorno, ossia all’ora VI, soltanto un pasto veloce chiamato prandium, spesso consumato in piedi e sicuramente fuori di casa, nelle taverne che erano largamente diffuse, nei thermopolia, bar della Roma antica, o rifornendosi dai venditori ambulanti.

La coena era il momento in cui ci si riuniva per mangiare un po’ di più in compagnia, dopo essersi recati alle terme.

La cucina degli antichi romani era certamente semplice agli albori, basti ricordare che la civiltà romana si sviluppò da un piccolo villaggio pastorizio che in seguito diventò di agricoltori grazie ai contatti con la Magna Grecia. I cibi in un primo momento riguardarono soprattutto polente a base di cereali, primi tra tutti l’orzo, il miglio, e poi il farro. Era uso degli antichi romani chiamare fruges tutti i cereali ed i legumi. Da qui il termine frugalità, per cui da allora fino ad oggi un pasto frugale equivale a dire un pasto economico e semplice. Dall’abitudine a macinare il farro deriva il termine farina, che sta ad indicare ancora ai giorni nostri il prodotto della macinazione. Mentre il verbo immolare viene da mola, denominazione della macina e allo stesso tempo un tipo di focaccia di farina di farro tostato che veniva consumata nei sacrifici.

La polenta di cereali era arricchita con ortaggi vari e qualche volta con pezzetti di carne o pesce, rendendo il miscuglio più gustoso e nutriente. Dal suo nome di satura deriva il nostro saturare, cioè riempire al massimo. Il pasto medio di un romano povero (i più) era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia. La salamoia era detta salsamenta, e ancora adesso usiamo definire salsamenteria il negozio in cui si vendono prodotti salati e conservati.

Certamente i romani non mangiavano soltanto, ma bevevano copiosamente.

Il vino si vendeva nelle molte mensae vinariae, nelle osterie della suburra e nei thermopolia. Si beveva alla salute dei propri commensali, imitando l’omaggio del vino agli dei che il sacerdote faceva sull’altare, offrendolo poi agli altri. Nella stessa maniera i commensali alzavano tutti insieme i calici pieni pronunciando salutem et vitam tibi propino, da cui deriva l’odierno “alla salute”.

di Svevo Ruggeri

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine