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8 marzo – Teatro in Rosa: il senso della recitazione al femminile

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8 marzo – Teatro in Rosa: il senso della recitazione al femminile

Donne sulle “tavole”, leonesse sulla scena

Non c’è mimosa che tenga. Non c’è spora di gialla tenerezza che possa scalfire la corazza, o meglio lisciare la pelliccia dei veri animali da palco. Loro sanno difendersi e tracciare il cammino. Loro conoscono ben altri colori. Loro non si accontentano della liscia purezza di semplici fiori.

Donne sulla scena, aperte al pubblico in presa diretta, senza filtri ma irte di meravigliosi inganni, sortilegi, trucchi. Maschere ingegnose e sempre multiple le attrici sono esseri misteriosi che sperimentano qualsiasi dimensione del resistere. Attraversano universi interiori e oltre-umane espressioni, incarnando ogni simbolo e archetipo dell’umana natura con il dolore e il vigore di madri-mogli-figlie-artefici-artifici.

Il teatro italiano è testimone di artiste assurte a guida di intere generazioni e di giovani promesse essenziali alla sua stessa rinascita, baluardi di un impegno personale e collettivo contro stereotipi, sessismi, razzismi. Contro la superficie ancora troppo spesso patriarcale della civiltà. Contro la monotonia e la sterile prolissità. Donne sull’orlo della crisi che trainano la nostrana arte, messaggere di un altro oggi possibile.

Le Voci

Lina Sastri, scugnizza incantatrice. Albeggiante sirena conquista appena diciottenne un mentore eccezionale, Edoardo De Filippo. Comincia come comparsa ne Il sindaco di Rione Sanità e diventa un’indimenticabile Ninuccia nel caposaldo del teatro italiano (non solo dialettale) Natale in casa Cupiello. “Ragazzina spudorata” lascia la compagnia dell’esordio e sboccia con i grandi maestri. Straordinaria canta-attrice fuori dai ranghi, fedele alla lingua barocca della sua Napoli, Lina si destreggia tra teatro, passione inestirpabile, cinema e musica. Trasferte girovaghe, come il suo spirito senza freni. Dall’Europa al Giappone, Lina duetta con il mito Peppe Barra e tesse intanto il suo romanzo di prorompente femminilità d’arte. La vogliono Moretti e Bertolucci, ma Lina resta Ninuccia. Fanciulla per bene, traditrice e menzognera, eppure fiera e audace, unico scopo il riscatto dalla famiglia che stringe e soffoca. Donna dell’emancipazione, umiltà e forza tra le ciglia d’argento. Sulla soglia dei 60 anni Lina rammenta emozionata le lezioni di vita di Eduoardo e la sua amicizia leale. Come una cucciola, smarrita ma già adulta. Ninuccia sempre libera. Per sempre la nostra Ninuccia.

Lella Costa regge al tempo, regge il tempo. Già storia comune i suoi monologhi. Una voce roca, la sua profondità venata di dolcezza e di inquietudine addomesticata. Maestra di un teatro che giorno per giorno scolpisce la vita sulla pelle dell’artista. Lella è figlia dei classici. Ma soprattutto simbolo e corpo in movimento di una femminilità piena, complessa, segnata dalla epoche del mondo. Donna idiosincratica, ferra e fragile al contempo. Sulla scena si dona, sacrifica il sé, lo spoglia lo (di)mostra. Vita a teatro. Sin dai primi anni Lella affronta autori contemporanei alternando lavori complementari, tra cabaret, radio e doppiaggio televisivo. Dalla fine degli anni ’80 il suo talento, lenta orologeria, esplode in progressive mutazioni, espugnando letteralmente tutte le platee italiane come pure le scene internazionali. E se pochi ricordano le sua presenza nell’ironia esilarante e delirante di Maurizio Nichetti, suo iniziatore cinematografico (in Ladri di saponette del 1989), tutti riconoscono il marchio inconfondibile delle sue opere in solitaria. Donna monolite sfaccetto, Lella trova nelle eroine tragiche, nell’epica travagliata di nomi persi in tempi immortali la chiave di volta per leggere e scoprire il presente. Tra guerre, ipocrisie inevitabili, incompatibilità e amori degenerati, le donne di Lella sono tutte e una, la magnifica molteplicità umana. Scrittrice e attivista, Lella è porta voce di Emergency. Bandiera generosa e inarrestabile di una volontà comunicativa a favore della cultura e della cultura-donna. Tricolore, pacifista, eremita solenne e temeraria. Lella, del teatro ama simbiotica l’infinita “costa”.

Avanguardia indocile

Federica Di Martino non ha neppure 40 anni, e la gioventù all’italiana la porta con stile e grinta anticonvenzionale. Sa bene che il teatro annaspa senza fondi pubblici e che i giovani devono sapersi “inventare”. A 33 anni era già nell’“Olimpo” del teatro, e fresca del premio ETI, l’Oscar teatrale nello Stivale, per la migliore esordiente, aveva ormai le idee chiarissime e una ricetta che le ha portato fortuna. Poca televisione, che non si rinnega ma che non emoziona né premia quanto la “scena”. Fatica, studio e disciplina contro gli sgambetti. Dietro i lineamenti distesi e accoglienti Federica nasconde quasi vent’anni d’esperienza. Tutta sulle spalle, sempre dell’esordiente stupita e caparbia invece il sorriso indomito. Una scalata difficile ma veloce e trasversale. Bagaglio in mano, a vent’anni si parte per plasmarsi il futuro. Da Ortona all’Accademia Silvio D’Amico. Poche decine di posti su 700 aspiranti. Federica è dentro. Poi si accorgono del suo talento Ronconi, Patroni Grifi, Lavia. Un treno in corsa. Contro l’instabilità e la stanchezza del teatro nostrano contemporaneo Federica spera nella forza dei giovani. Non fa Molto rumore per nulla, misura le sue doti e analizza La forma delle cose. Artista eclettica conosce l’ira gelosa di Otello e con i suoi amici fa esperimenti in stile Le tre sorelle, per un’indipendenza sogno possibile.

Marta Bettuolo, prende il toro per le corna. Il teatro lo crea. Nata nel 1975, la sua è una storia fulminante, la sua prospettiva oggi è “Linutile”. Non perché sia masochista. O una donna che perde tempo in ideologie inattuali. “Linutile” è su figlio, il “suo” teatro. Fondato a Padova nel 2006. Riconosciuta come una delle più elettriche, vivaci e versatili interpreti della sua generazione, Marta si è fatta conoscere al grande pubblico grazie al premio HYSTRIO alla vocazione nel 2003. Diplomata nello stesso anno presso la Scuola del teatro stabile di Genova ha scelto la via meno lastricata. Un amore monogamo il palco. Seminari e decine di esperienze in tante diverse compagnie, con Serena Sinigaglia (compagnia ATIR di Milano), con Jurij Ferrini (compagnia URT), con Enrico Bonavera (Piccolo di Milano). Già dal 1998 i “nomi” la scelgono in importanti lavori, da Roberto Cavosi (Stabile del Veneto), Marco Sciaccaluga, Massimo Mesciulam, Annalaura Messeri (Stabile di Genova), Tonino Conte (Teatro della Tosse), Cominotto (teatro Smeraldo Milano), Andrea Battistini, Giulio Costa, Francesco Sala. La vera battaglia però Marta la vive con il suo progetto. Armata di determinazione medita passi in solitaria. Da direttore artistico de “Linutile” Marta diventa donna manager performer. Una, trina “vocazione”, antidoto alla crisi.

Isabella Ragonese, una moka insonne per una nottambula iron lady. Giovanissima, classe 1981, mille passioni condensate nello sguardo da cerbiatto. Ma Isabella non è la fatina materna e remissiva che ti aspetti. Sonno, attesa, pause? No grazie. Isa corre veloce. E nasconde una gavetta teatrale che impressiona, iniziata ben prima che la ribalta del cinema la inondasse di allori. Una ragazza dinamica e intraprendente, che ha voluto costruirsi la sua vita, accettando la precarietà dell’arte. Incoronata eroina dei co.co.co. nel film di Virzì Tutta la vita davanti e diva assente di La nostra vita di Lucchetti, Isabella a teatro fa le vere scintille. Donna metamorfosi recentemente si è cimentata nelle tante vesti dell’Orlando di Virginia Woolf. Palermitana orgogliosa ed energica. Filosofia, tarocchi e teatro. Un cocktail che l’ha portata lontano. Un’intelligenza impermeabile ai pregiidizi, che le fa vincere sin da adolescente tanti premi drammaturigici. Si diploma in teatro nel 2000, le tavole sono il suo banco di prova. Scrive e interpreta Che male vi fo e il più famoso Bestino. Presenzia ai festival teatrali più innovativi, come nel 2008 alla kermesse “Teatro e colline”. Un’attrice-autrice già in tenera età. Oggi donna schiva ma combattiva. Tra un ciak e l’altro l’uragano Isabella fa sosta solo dietro le quinte, dove la polvere della scena riempie narici e anima. Perché il teatro è il suo porto sicuro e non ci rinuncia.

di Sarah Panatta