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Weezer – Everything Will Be Alright In The End

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Weezer – Everything Will Be Alright In The End

Weezer - Everything Will Be Alright In The End

Weezer

Weezer

Primo ascolto del nuovo album della band californiana

Per divertire il pubblico dopo 20 anni, utilizzando la stessa “ricetta”, ci vogliono due caratteristiche: talento e coraggio. Che gli Weezer avessero entrambi, l’avevamo capito nel 1994 quando esplose il tormentone Buddy Holly, accompagnato da un video-parodia di una delle serie più amate di tutti i tempi: Happy Days. E l’ironia è sempre stata la bandiera della band che ha dato voce alle disavventure di nerd e outsider di ogni tipo, raccontando gioie e dolori di più di una generazione. Un’ironia non solo musicale ma anche visiva, che parte dalle copertine dei loro album: basti pensare a dischi come Ratitude, il cui artwork vede un cane saltare nel salotto di casa, o il disco di inediti Hurley, che gli Weezer hanno deciso di far impersonare all’omonimo personaggio della serie Lost (l’attore Jorge Garcia).

Tra alti e bassi, e una carriera che continua a dispetto di tutto e di tutti, gli Weezer sono ancora qui, giunti ad un nono album che merita la nostra attenzione. Anche in questo caso, titolo e copertina sono emblematici: il disco si chiama Everything Will Be Alright In The End (Alla fine andrà tutto bene) ma, dal paesaggio montuoso che vediamo nell’illustrazione, sbuca un gigantesco (e buffissimo) mostro, che sembra nato dall’unione tra un Bigfoot e un insetto.

Un album che ritorna alle radici e che, secondo le stesse parole del leader Rivers Cuomo, ruota intorno alle sue relazioni: con gli amici, con le donne e con il padre.

L’apripista Ain’t Got Nobody è uno dei tanti tributi degli Weezer agli outsiders nei quali si sono sempre identificati: è come tornare al liceo, all’epoca in cui nessun ragazzo/ragazza sembrava guardarci, un’epoca che la band racconta nei toni della tragi-commedia (Cuomo canta: «Non c’è nessuno che mi baci e mi abbracci, sono stato paziente e ho girato la nazione ma non c’è nessuno in tutto il creato.»)

Uno sguardo al passato, questa volta squisitamente musicale, c’è anche in Back To The Shack, primo singolo estratto dall’album: qui la nostalgia riguarda gli esordi, i tempi in cui si suonava nella “baracca” (il garage) per la pura voglia di farlo, sperando in un successo che sarebbe arrivato soltanto dopo.

Rime e situazioni geniali arrivano dai brani dedicati alle donne: Da Vinci è la canzoncina da fischiettare appena svegli come una filastrocca («Stephen Hawking non può spiegarti / la Stele di Rosetta non può tradurti.») e poi c’è Go Away, duetto con la cantante dei Best Coast Bethany Cosentino, costruita come un litigio tra due ex fidanzati che si affrontano davanti alla porta di casa (di lei).

Foolish Father è la storia di una riconciliazione che il frontman degli Weezer sceglie di raccontare al femminile anche se, dietro la storia di una figlia, si nasconde proprio la sua. Qua e là gli Weezer si lasciano andare a divagazioni sui generis sempre riuscitissime: falsetto vintage, reggae e un tocco pop (alla Michael Jackson) sono i punti di forza di I’ve Had It Up Here mentre, nella triade finale, I. The Waste Land, II. Anonymous e III. Return  to Ithaka, la band si concede il lusso di una mini-opera che mescola intermezzi strumentali delicati a un punk contemporaneo che ricorda gli ultimi Green Day.

In un mondo sempre più dominato da musica scontata e volgare, Everything Will Be Alright In The End non otterrà il successo che merita, ma può contare su un nutrito gruppo di ascoltatori che segue gli Weezer da vent’anni. E in ogni caso è sintomo di un’esigenza comune: quella di tornare a un punk-pop scanzonato e divertente che, senza troppi artifici, spazza via il grigiore invernale in poco più di 40 minuti.

di Lucia Gerbino