“Il secondo tempo”, uesto il titolo dell’opera di Pierfrancesco Li Donni. Come si legge sul sito www.ilsecondotempo-ilfilm.it: “Il film racconta i 57 giorni che intercorrono tra la morte di Giovanni Falcone e quella di Paolo Borsellino nella Palermo di oggi, in un ibrido tra docufiction, interviste, finzione e immagini d’archivio di Fabio, che da filmaker amatoriale, riprende le manifestazioni spontanee dei cittadini palermitani. Immagini inedite che danno il senso della rabbia e del dolore di una città ferita che prova a riscattarsi dal potere mafioso.
Il punto di vista è quello della gente che si trova catapultata in una “tragedia” che sconvolgerà per sempre la sua vita. I Palermitani che si trovano costretti ad aprire gli occhi di fronte a ciò che fingevano di non vedere: la ferocia con cui la mafia si accanisce sui sovversori.
Per capire l’atmosfera che si respirò quei giorni sul portale vengono visualizzate alcune frasi incisive che riportiamo: “Quando la memoria è viva, esplodono i ricordi”; “Il dolore e la rabbia erano incontenibili e generalizzati”; “Il 23 maggio (data della strage di Capaci in cui perse la vita Falcone ndr) c’è stata un’esplosione in ciascuno di noi”; “Eravamo in una guerra totale, siamo rimasti testimoni”; “Dimostriamo ogni giorno di non essere meritevoli di quello che ci hanno lasciato Giovanni e Paolo”.
E la lezione è rimasta ben impressa nella mente dei palermitani, che hanno trovato il coraggio di ribellarsi appendendo dei lenzuoli, come manifesti in cui si opponevano alla mafia. Già da prima però qualcosa era cambiato: la folla di gente che ha preso parte ai loro funerali simboleggiava la vicinanza emotiva a quegli uomini che avevano sacrificato la loro esistenza per degli ideali “Ho sentito che avevamo vinto”.
Per quanto riguarda, invece, lo spirito dell’opera c’è la citazione di frase di Lewis Cartrol
“L’orrore di quel momento – continuò
il Re – non lo dimenticherò mai, mai!
Sì, invece – disse la Regina – se non prenderai nota”.
Lewis Carrol
Fare memoria dunque. Abbiamo voluto intervistare l’autore, Pierfrancesco Li Donni, anche per capire quanto si può fare memoria con un documentario. Laureato in storia contemporanea e diplomato alla Cineteca di Bologna in montaggio, egli ha lavorato per alcuni anni con Paolo Pisanelli (Ju Tarramutu, Festival del Cinema del Reale). Ha realizzato prodotti video per Cgil e Arci ed è stato cameraman per SKY. “Il secondo tempo” è prodotto da Emma Film in collaborazione con Own Air e Vega’s Project, selezionato nella Sezione Doc Noir del Courmayeur Noir In Fest. Da gennaio 2013 ha cominciato la lavorazione di un nuovo documentario dal titolo provvisorio “Il primo giorno d’estate”.
L’idea di fare questo film mi è venuta qualche anno fa: ho sempre pensato fosse importante raccontare il punto di vista dei palermitani perché tutte i lavori fatti su questo tipo di argomento, erano di ricostruzione politica o giudiziaria. Mi interessava far vedere anche come la gente aveva vissuto questi momenti. Come la gente ricordasse i 57 giorni che trascorsero tra la morte di Falcone e quella di Borsellino. Personalmente son sempre stato legato a tematiche di impegno civile. Pensavo che il mio primo lavoro dovesse proprio essere questo. Ricominciare dalla mia città che avevo lasciato (per circa 10 anni ndr) e dalle tematiche sociali.
È stato un onore. Cosa più importante è che è stata presentata il 23 maggio in un contesto in cui si parlava di cultura della legalità; lì mi sono reso conto di quanto importante fosse far conoscere una realtà poco conosciuta come la Palermo vissuta dai palermitani: l’obiettivo era raccontare questa storia e portarla in giro per l’Italia.
Oggi ha diverse valenze: c’è la legalità degli sceriffi, ovvero quando ognuno si fa giustizia da solo, poi c’è quella legata ai temi etici e alle scelte etiche della politica e della società civile. Quest’ultima è quella più importante, ovviamente, poiché dovrebbe essere e diventare una componente imprescindibile dello Stato, che dovrebbe sempre avere al suo interno. Legalità, istruzione ed etica sono parole che dovrebbero essere molto legate.
Penso sia molto bello che, nel corso degli anni, ci sia resi conto che le mafie non erano un fenomeno prettamente locale, ma che ricadeva su tutto il territorio nazionale. Importante, però, è far sì che tali riti non vengano strumentalizzati e che non si facciano solo un giorno all’anno.
Pagano l’aver voluto indagare fino in fondo i rapporti che in 50 anni hanno avuto Stato-mafia. Sono tra i due personaggi che probabilmente hanno cominciato a segnare la crisi della I Repubblica. Il delitto di Falcone è stato diverso da quello di Borsellino, ucciso perché voleva denunciare la connivenza Stato-Mafia. La vicinanza dei due delitti non ha fatto che aggravare la posizione della mafia. Da quel momento è iniziata una repressione forte da parte dello Stato nei confronti della Mafia, che prima non c’era stata. Ciò ci dimostra che se lo Stato vuole, sa essere molto incisivo; sebbene possa non riuscire a reprimere o ad eliminare i fenomeni mafiosi, può comunque essere in grado di controllarli e limitarli.
Volevo dare un’immagine diversa di Palermo: raccontare l’anima della città, attraverso la sua gente. Le immagini di Palermo aiutano a raccontare la storia di una città che ha sofferto, che crede di aver dimenticato, ma ricorda ancora, che però sembra aver perso la spinta positiva del 1992, in cui la gente aveva cominciato a non voltare la faccia dall’altro lato, poi negli anni ci siamo dovuti riabituare ai Cuffaro di turno. L’esperienza Cuffaro sottolinea il rapporto che c’è tra mafia e politica: la mafia sostiene la politica e la politica, in un certo senso, fa fare gli affari alla mafia.
Documentare è una necessità personale di raccontare una realtà che non si vede, o che pochi possono vedere. Il documentario è molto importante, è un genere che poco a poco si è andato affermando sotto varie forme sperimentali.
Il documentario è un genere a sé. Diventerebbe più appetibile e competitivo se la gente fosse educata a capire questo linguaggio, che è un linguaggio serio e difficile.
È stata una bellissima notizia, la cosa che mi ha emozionato di più è la citazione del giudice Caponnetto riportata da Grasso: “guarda avanti ragazzo, e stai con la schiena dritta”. Pensare che le parole di quel magistrato che aveva lottato tutta la vita per la legalità siano rimbombate nell’Aula del Senato mi ha emozionato. Non so cosa potrà cambiare sinceramente. È un bel segnale, però, che ci siano nuovi personaggi politici; nella disgrazia di tutta la situazione che stiamo vivendo di crisi economica e politica, nonostante lo sfacelo dei partiti e la difficoltà di costituire un Governo, dalle rovine rimaste, deve passare il messaggio che ha favorito “la vittoria” di M5S, che è stato quello di costringere i partiti a mettere figure nuove in grado di interpretare il cambiamento di cui c’è necessità in questo momento.
Farò un giro di presentazione per i prossimi anniversari del 23 maggio e il prossimo anno proverò a portarlo per le scuole.
Penso siano prodotti ricostruiti con una ricostruzione un po’ noir. Certo per Palermo è stato un periodo di sangue. Non li ho seguiti perché credo non restituissero gli umori della città. Quella di Falcone e Borsellino è stata una storia diversa da quella dipinta, e un po’ stereotipata e sminuente, di poliziotti della scorta che indagano, che fumano quattro sigarette, tra l’indifferenza della popolazione, quasi connivente o complice della mafia, con istituzioni corrotte, una magistratura quasi incapace di svolgere il proprio dovere e la gente ormai rassegnata al potere e alla tirannia dei mafiosi.
La città di Palermo volevo raccontarla non come se fosse una città-cartina e cartolina, ma come fosse la città dove sono nato e vissuto. Questo è stato il filo conduttore di tutto il film, che racconta storie antiche di persone, gente comune, dei poveri e degli oppressi, nella città in cui vivono i Palermitani. Ho cercato di sottolineare come il film sia sicuramente malinconico, però ho cercato di opporre a questo filo conduttore del film quello che rappresenta il nucleo centrale, il cuore, l’essenza deontologica dell’opera: il fatto che Palermo sia una città bellissima, dove il sole ti acceca, dove si vivono sentimenti contrastanti di amore-odio, di vita e di morte. Questo la storia lo restituisce tantissimo.
Quale il messaggio che vuoi trasmettere?
Volevo raccontare all’Italia quello che la gente era stata capace di fare all’indomani delle stragi. Nel documentario si sente che viene gridata la parola “resistenza” il giorno in cui viene ucciso Borsellino. La parola resistenza, oltre al fatto sottolineo che fu urlata, non è nel vocabolario del Palermitano, ciò significa che, in quel momento, la gente ha avuto il bisogno di dire basta, tracciando così la strada poi intrapresa da cittadini ed amministrazione. Per la morte di Borsellino ho sentito la rabbia dei palermitani, mentre per l’omicidio di Falcone avevano regnato solamente la sofferenza e la rassegnazione.
Non c’è un personaggio. Sicuramente la persona a cui mi sento più vicino è una delle protagoniste del documentario ed è Marta l’animatrice del “Comitato dei Lenzuoli”; dopo la morte di Falcone appese un lenzuolo alla sua finestra con scritto “Palermo chiede giustizia”, poco dopo arrivò la risposta degli studenti dal balcone di fronte con un lenzuolo con scritto “possiamo farcela”; da allora, nelle case di tutti i cittadini, venne appeso un lenzuolo contro la mafia. Non è una cosa stupida perché Palermo era una città di Mafia. Se i palermitani appendono un lenzuolo con scritto “No alla Mafia”, significa che hanno deciso di metterci la faccia. La storia di Marta rappresenta il cambiamento, è un esempio importantissimo, quasi pari a un eroe che muore, si può essere cittadini con senso civile sia da vivi che da morti. Ognuno può fare il suo, che è ciò che ha comunicato Marta col suo gesto.
Oggi è una città dove si può parlare tranquillamente di mafia, anche se lo si fa quasi sempre al passato. Si può parlare di un dell’Utri condannato. Si parla molto di più, molto più liberamente, la città è cambiata. La mafia non è stata sconfitta, è una malformazione culturale, ma quello che è certo è che quando c’è impegno delle istituzioni la mafia è più debole. Oggi mi preoccupano il fatto che i rituali dell’antimafia diventino a volte delle inutili passerelle. Ognuno dovrebbe pensare di sconfiggere il piccolo mafioso che è in sé, il senso di collettività e dello Stato è la prima risposta da dare alla mafia.
Per quanto riguarda i giovani di oggi, posso dire che la mia generazione è cresciuta nei giorni successivi alla morte di Falcone e Borsellino. Ognuno ne porta con sé il ricordo, nelle scuole ci hanno educato ad amare la nostra città ed a vederli come eroi. Questo è il più grande regalo che ci hanno lasciato le vittime della mafia. È molto significativo che alle manifestazioni di mafia ci vadano migliaia di persone contro le centinaia degli anni passati.
di Barbara Conti