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Ti ricordi di me?

Ti ricordi di me - locandinaL’amore da favola di Ravello

La memoria del cervello umano è limitata e labile e la banca-dati del cuore? Qualche anno fa in una melodia di successo Giusy Ferreri cantava “Non ti scordar mai di me”, un ritornello che ha fatto da sottofondo alla storie di molte coppie. Spesso, infatti, non appena finisce una storia d’amore la cosa principale che in fondo si spera sempre è che non ci si dimentichi mai la persona che è stata così importante per noi fino a poco tempo prima. Ma può il tempo annullare ogni ricordo? Anche dopo dieci anni e più, ci può essere ancora un moto di sentimento, un ricordo che ci leghi in maniera forte ed intensa ad un’altra persona? Oppure una coppia è in grado di annullare ogni ricordo ed ogni emozione? E possono la malattia mentale o disturbi psichici e caratteriali ostacolare il destino di due persone legate per ragioni inspiegabili?

Da qui nasce “Ti ricordi di me?” (al cinema dal 3 aprile prossimo), una commedia sentimentale per la regia di Rolando Ravello, con protagonisti due strabilianti Edoardo Leo (nei panni di Roby) ed Ambra Angiolini (che interpreta Bea). Una commedia sentimentale che punta tutto sull’emotività, in grado di tenere inchiodati gli spettatori fino alla fine, tra risate e qualche lacrima di commozione che nasce dall’intensità con cui vengono interpretati i due protagonisti. Una tenerezza lega il pubblico a questi due personaggi, apparentemente due disadattati destinati al fallimento più totale in società, all’isolamento, ad essere degli esclusi, ma che insieme riescono a superare i propri disagi ed a costruirsi legami veri ed autentici in un mondo più giusto: il loro mondo. Edoardo Leo è impegnato anche nella sceneggiatura del film, insieme a Paolo Genovese e ad Edoardo Falcone. Quello delle anime gemelle è un tema molto noto e molto affrontato nel cinema: da “La solitudine dei numeri primi” a “Tutti i santi giorni” di Paolo Virzì, altra commedia brillante all’italiana. Ravello sa prendere, al contempo, la parte struggente e drammatica presente a tratti nel primo, proprio a causa della malattia della protagonista femminile (malata di anoressia); e quella comica del secondo. Per la prima metà molte le risate regalate; nella seconda tutto diventa un po’ in salita. Iniziano a farsi notare le conseguenze della malattia di lei (Bea, narcolettica che soffre di amnesie e per questo tiene un libro rosso della sua vita). Tuttavia i due riescono a fare della loro vita una favola, non sempre a lieto fine, per un film che viene definito una favola reale. Ed infatti la favola è al centro di questo film: Roberto/Roby è un cleptomane che scrive favole, ma non le comuni fiabe che si pubblicano spesso; lui vuole raccontare ai bambini la vita vera, la realtà così com’è. Nessuno, però, crede nel suo talento e lo vuole pubblicare, finché sarà un adolescente a scoprirne il valore. Il destino incrocerà le loro vite in maniera rocambolesca: da una psicanalista, la dott.ssa Grimaldi, interpretata da una divertente ed ironica Pia Engleberth. La malattia mentale non viene mostrata quale un limite, ma quale un punto di partenza per il cambiamento (quel “ripensamento”) che Bea appunta ogni volta che cambia opinione su una cosa che aveva segnato sul suo libro. Il romanticismo, a volte anche struggente, profondo ed intenso, reso con perfetta naturalità dagli attori, ricorda quello con cui venne affrontato il disagio psichico in “Al di là dei sogni” con Robin Williams. Quello che ne nasce, pur avendo questi precedenti a cui Ravello non attinge, se non inconsapevolmente, è un prodotto nuovo, una storia diversa: la favola che i protagonisti si sono costruiti nel tempo, con il loro percorso formativo di conoscenza di sé, attraverso quel “ritrovarsi”, che è al contempo un fattore fisico e materiale quanto psicologico. C’è un’empatia indissolubile che permette loro di non perdersi mai nonostante il tempo, la distanza e la perdita di memoria di lei. Un po’ come quando una persona entra in coma e, risvegliandosi, deve ricostruire i propri ricordi: delle cose le ritorneranno subito alla mente, altre avranno necessità di maggiore sforzo. E finché sono insieme tutto funziona, c’è allegria, gioia, divertimento, i colori delle emozioni (in quanto questa è una storia di emozioni innanzitutto) che sono quelli che indossa Bea. A rendere tutto così intensamente drammaturgico è la profonda teatralità che proviene dalla storia originaria omonima dello spettacolo di teatro portato in giro sempre dalla coppia Edoardo Leo-Ambra Angiolini. E poi la naturale e spontanea improvvisazione, che deriva dall’immedesimazione schietta nel personaggio. Nel finale Beatrice/Bea (alias Ambra Angiolini), scoppia in lacrime travolta dalla percezione di questa strana alchimia che la avvicina a Roberto-Roby/Edoardo Leo: non era previsto, ma girando Ambra non ha potuto trattenere questo moto di commozione per questi personaggi così autentici e veri. Ed è rimasta dando una segno aggiuntivo al film. Il suo era il personaggio più complesso che cambia modo di reazione a seconda delle circostanze: “non era facile per lei mettersi a nudo senza trucco mostrando la sua parte più bambina”, commenta Ravello. Proprio quando stava per cedere, racconta Angiolini, è riuscita a trovare quella chiave interpretativa vincente. Attraverso il loro essere se stessi, ora Roby e Bea sono diventati “Rubacchione” e “Scordarella” della favola scritta da Roby: una vera coppia che ha saputo essere in grado di superare i propri blocchi psico-emotivi, al contrario dei loro amici Francesco (Paolo Calabresi) e Valeria (Susy Laude) apparenti “sani” e “normali”; soprattutto Francesco sembra aver paura di dimostrare il suo amore alla donna amata. Le due dimensioni di realtà e finzione vengono confuse e mescolate per conservare il fascino dei sogni, dei desideri per “una storia d’amore (quasi) indimenticabile” come cita il sottotitolo. E se l’amore è indimenticabile, incancellabile nonostante i vuoti di memoria, questo film contribuisce ad elevare la dignità della commedia all’italiana che ha raggiunto un livello tale da conquistare una sua piena credibilità anche all’estero: merito in questo caso degli attori che hanno dato il loro contributo attivo, del regista che ha voluto non farsi influenzare da casi simili, ma trovare un proprio stile narrativo e uno schema personale di approccio e di lettura della mente e del cuore umani. Per un cinema che, come i due protagonisti, ha imparato ad essere se stesso e rivendica la propria autenticità. Vincenti anche le musiche e la colonna sonora, per una scelta accurata e fortunata quanto quella dell’intero cast, che aggiunge un ritmo travolgente.

di Barbara Conti