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Roma Fiction Fest 2015: Occupied

Hippolyte Girardot - Occupied - 02 -©SilviaGerbino

Hippolyte Girardot – Occupied – 02 -©SilviaGerbino

Una crisi energetica e diplomatica tra Russia e Norvegia

Una crisi energetica mette in serio pericolo gli equilibri all’interno dell’Ue. Da qui parte il film in concorso internazionale alla nona edizione del Roma Fiction Fest: “Occupied“, di Jo Nesbo, nato da una collaborazione francese e norvegese.
La Norvegia ha deciso di interrompere la produzione di petrolio per dare origine a quella di una nuova fonte di energia alternativa, ecologica e sostenibile, che però rischia di provocare l’intervento armato della Russia. E così ne nasce il sequestro sulla piattaforma Froy del Primo Ministro norvegese Jesper Berg, che mette in allerta il mondo intero, da parte del più potente e grande gruppo armato che ha già sequestrato due giacimenti petroliferi. Dopo aver dato speranze alle future generazioni con la torite, pietra scoperta da un sacerdote di nome Esmark (che l’ha chiamata così in onore del dio Thor) , tutto sembra crollare sotto la minaccia di una nuova seconda guerra mondiale, che ha il sapore della contemporaneità. I temi più in voga ci sono tutti: problematiche ambientali, pericolo terroristico, crisi economica ed energetica, innovazioni e fonti alternative energetiche. La presa sul pubblico è forte sin all’inizio, la tensione e il ritmo sono elevati. Ne nasce una spy story avvincente, che immerge da subito lo spettatore nel pathos della circostanza: una scia di sangue sulla neve, che ricorda il conflitto mondiale e che verrà ripresa in seguito per interrogarsi se si è disposti a sacrificare migliaia di vite umane in cambio di un rifiuto di scendere a compromessi ed accordi con la Russia. O forse è meglio un incontro improntato sul dialogo, la collaborazione e la diplomazia che salvaguardi la sicurezza e la pace mondiali, come ricercato per quanto sofferto?  Un caso diplomatico e politico (perché il primo ministro viene sequestrato) diventa un’inchiesta giornalistica (con un giornalista costretto a lavare piatti in un ristorante per arrotondare).
In questo senso è centrale la figura della guardia del corpo del primo ministro: Djupvik. È come se fossero suoi il punto di vista e la sensazione di allerta, pericolo e allarme. Quando l’equilibrio sembra ricostituito, un finale sospeso, forse un po’ troppo immediato, lascia il dubbio sul futuro. Facendo intendere che tutto, all’improvviso, potrebbe cambiare nuovamente, inesorabilmente e in maniera drastica. Intanto la gente, ignara e tranquilla, continua la solita vita di tutti i giorni, proseguendo nella solita routine da cui si fa distrarre dai problemi reali.
Sicuramente ne restano alcuni insegnamenti: un’era è finita e se ne è aperta un’altra; non si può più pensare al passato per guardare al futuro, ma, soprattutto, il mondo può cambiare se siamo disposti a pensare fuori dagli schemi. E la convinzione è che il mondo come lo abbiamo creato è stato frutto del nostro pensiero. Bella l’immagine in cui alla centrale elettrica di Al Torio (dalla torite), immersa nel verde delle montagne, si accosta quella della moglie di Djupvik, che le mostra il suo nuovo look con la toga da magistrato; quasi che quella fosse la sola immagine costruita o da costruire in nome della giustizia che rappresenta. Una foto, che arricchisce le scene che vanno da paesaggi innevati a palafitte a picco sul mare, a volte increspato.

di Barbara Conti