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Fuorigioco di Carlo Benso

Fuorigioco

Fuorigioco

Interpretato da Toni Garrani e da un’eccellente Azzurra Rocchi, mostra la nevrosi che può scaturire dall’essere licenziati o costretti alle dimissioni per un uomo maturo che non ha più il suo ruolo in società

Che succede quando la vita ti mette fuorigioco, cioè ti lascia senza prospettive? Che succede, la partita è finita? E se non lo è, come ripartire all’attacco e rimboccarsi le maniche? Nell’ambito tragico e pessimistico cui ci conduce la pesante crisi economica che sta colpendo l’Italia e l’Occidente, Il regista Carlo Benso realizza la sua opera prima “Fuorigioco”, e si interroga su ciò che può accadere se un uomo over 50 viene licenziato, perdendo così il suo impiego di una vita. Il rischio del delirio, della depressione, di una nevrosi sempre più violenta ed incontrollata, con moti di rabbia e di collera che nascono dall’insofferenza sono sempre più all’ordine del giorno e in agguato. Perché non si tratta di un mestiere facilmente sostituibile, ma rappresenta il suo ruolo in società, il suo posto nel mondo. E in una società tendenzialmente maschilista, piena di discriminazioni, come quella attuale, se poi la moglie continua a lavorare è la fine. Tanto che il regista Benso ha confessato che “se fosse stata la storia di una donna sarebbe stato un film diverso”. Buono il soggetto, cui tengono particolarmente regista e attori, ma si rivela un’opera prima incompiuta o meglio a nostro avviso troppo tragica e melodrammatica, che non lascia né un filo di speranza né di rinascita dalla capacità di sapersi reinventare da parte del protagonista. Le possibilità per ricostruirsi un futuro non ne mancano e, forse, allungando di poco la sceneggiatura, si sarebbe potuto almeno far intravedere quell’universo di possibilità alternative che ci sono per chi non voglia veramente arrendersi e sia deciso a non mollare. Concetto ribadito più volte dal protagonista  (Gregorio Samsa, interpretato da Toni Garrani), quando poi però si dimostrerà al contrario quale un essere che si lascia andare alla rassegnazione e alla perdizione (nevrotica appunto) che ne deriva. Tanto da essere convinto in maniera ossessiva  di essere vittima di un complotto: il suo licenziamento è un’ingiustizia inaudita, lui era un valore e una risorsa, un capitale per la sua azienda. Ma ad essere “corrotto” è l’intero sistema:  finanziario, produttivo, oltre che economico, politico e sociale dunque. Lui è solo “un bersaglio di un sistema impazzito”, in cui c’è “l’umiliazione dei colloqui”, la fatica di trovare un impiego per cui anche “cercare un lavoro è un vero e proprio lavoro”, ma “come si fa a passare tutta la giornata aspettando una telefonata” per un colloquio o una risposta ad uno già effettuato, si chiede Gregorio. Ormai dominano l’universo commerciale i cinesi, gli indiani, i coreani. E così all’uomo viene tolta anche l’unica cosa forse che ancora gli era rimasta: la dignità. Gregorio si sente “gli occhi di tutti addosso come se si aspettassero qualcosa da me, ma non so che cosa”. Non sa cosa fare o cosa deve fare o quello che può fare. Senza capire (o almeno sembra intuirlo, ma non riesce a percepirlo consapevolmente fino in fondo) che quello che può veramente salvarlo è la sua storia, il suo passato, la sua infanzia, la sua famiglia. Non vuole vendere la casa di famiglia in suo possesso, dove si va a rifugiare. L’amore e l’affetto della moglie Lucia (Crescenza Guarnieri) non gli basta, sebbene lei lo supplichi: “non voglio soffocare nel marasma che ci circonda”. Non vuole che il caos e il degrado sociale in cui vivono abbia la meglio sull’umanità che è il bene più prezioso. E Gregorio sembra quasi non sentirla, non ascoltare le sue parole. E perderà proprio quell’umanità, lasciandosi infatuare da una giovane che abita in un appartamento di fronte al loro. In questo è straordinaria l’interpretazione dell’attrice Azzurra Rocchi, che con coraggio veste i panni della ragazza. Certo anche il pathos dell’interpretazione di Toni Garrani non è da poco. Ma la parte migliore del film, tuttavia, pare restare quella relegata agli ultimi minuti (mentre scorrono già i titoli di coda) in cui vengono mostrate le parole di una poesia di Peter Hammill, che cita così: “No, non troverò mai un tempo migliore per essere felice”. Peccato che il messaggio che sia passato sia altro, non di speranza, ma di follia inaudita. Un film segnato dall’ossessione di aver perso tutto. Un incubo nella realtà della vita quotidiana che parte da quando perde il lavoro e viene licenziato, o meglio, costretto a dimettersi. Incubo che poi sfocia nell’angoscia, nella pazzia al contempo omicida e suicida. Un amico di Gregorio si suicida e lui stesso ci prova, per poi diventare quasi un killer che vuole uccidere quella tentazione diabolica della giovane che vede ogni giorno da casa sua (che violenta, senza più riuscire a capire se veramente o solo nell’immaginazione dalla sua mente ormai compromessa. Infatti egli stesso non riesce più a distinguere il vero dal falso e si crea molti fantasmi irreali).

In questo la presenza alla proiezione del film del presidente di ATDAL (Associazione Nazionale per la Tutela dei Diritti dei Lavoratori Over 40) sarebbe dovuta essere maggiormente valorizzata anche all’interno del film. Il responsabile di quest’associazione stesso, che si occupa di fornire prospettive ai disoccupati di età matura dal 2002 assistendoli da discriminazione per età nel mondo del lavoro, ha auspicato che “Fuorigioco” possa essere da stimolo per l’avvio di un dibattito, per un prosieguo, anche con un sequel, che porti all’elaborazione appunto di alternative costruttive e non distruttive.

Il regista Carlo Benso ha difeso la sua scelta e la sua chiave di lettura e di impostazione della sceneggiatura, affermando che, oggigiorno il tema della disoccupazione, del precariato, della crisi economica e del mondo del lavoro sono in un certo qual modo un tabù che non può essere affrontato a viso scoperto e in totale chiarezza ed integrità, senza scontrarsi con ostacoli insormontabili. Per questo ha scelto di seguire “la storia di chi non ce la fa più e, dopo il fallimento, arriva a un passo dall’abisso”, perché “se uno vuole aprire una srl può farlo fino ai 35 anni, poi le possibilità si restringono molto per lui”.

Toni Garrani, invece, ha voluto affrontare il problema della distribuzione di un film, che è la croce peri il cinema odierno e che è la maggiore difficoltà che un regista incontra per lanciare il proprio prodotto. “Oggi il problema –afferma Garrani- non è tanto fare un film o un dvd, ma trovare qualcuno disposto a promuoverlo e occuparsi della distribuzione. Ciò accade per film bellissimi, ma che trattano temi più delicati. All’estero è più facile che vengano diffusi film a carattere sociale; ci sono interi Festival dedicati ad essi. L’arrivo di nuove piattaforme digitali per la proiezione di prodotti cinematografici e non solo potrà aiutare ad ampliare il ventaglio di possibilità di visibilità e di farsi conoscere di un film impegnato. Certo esso ha stravolto tutto il mercato cinematografico e il meccanismo di produzione e post-produzione, compreso il lancio del film stesso. Stiamo parlando soprattutto del cinema indipendente, che tratta i veri problemi della vita quotidiana dei singoli individui e che dà voce appunto alla gente comune, a quegli invisibili come vengono definiti poiché spesso la legge c’è ma non è forte e rispettata abbastanza per tutelarli in toto”.

Per questo si pensa in futuro di aprire due sale da mettere a disposizione esclusivamente per la proiezione di quei film “fatti fuori” (o forse sarebbe meglio dire messi “fuorigioco”) dal mercato (sono circa 69), che non sono usciti ancora al cinema. Per ricordare, come rivendica Carlo Benso, che “il valore di un film è nelle storie che si raccontano”, tratte dalla vita vera che ci circonda.

 di Barbara Conti