Un ritratto lucido e avvincente dello sport come metafora di vita e di un ‘great loser’ che voleva cambiare le regole del gioco
Bennett Miller mette in campo Brad Pitt nei panni di Billy Beane, General Manager degli Oakland Athletics, una squadra di baseball dalle buone potenzialità di gioco messa in ginocchio dalle logiche dettate dal potere d’acquisto dei team. A chiusura di una stagione ben giocata, Beane/Pitt si vede portare via i suoi migliori giocatori e, povero di budget, comprende che la loro sostituzione è inattuabile. Il gap con squadre come i New York Yankees è incolmabile, la competizione è resa impari dalla diversa situazione finanziaria e i criteri di selezione classici risultano inadeguati perché aderenti a un sistema in perenne squilibrio. L’incontro con Peter Brand (un convincente Jonah Hill), giovane laureato in economia sostenitore di una nuova messa in gioco fondata sulla statistica, si rivela tanto provvidenziale quanto rischioso. Affascinato dall’uso della matematica come strumento di valutazione dei giocatori, Beane assolda Brand per riformare gli OA mettendo su una squadra dove l’individualità lascia il posto alla potenza ‘sommatoria’ del gruppo. La sperimentale e radicale tattica adottata lascia perplesso il mondo del baseball e mette a dura prova lo stesso allenatore Art Howe (il premio Oscar Philip Seymour Hoffman per l’interpretazione di Capote nell’omonimo film di Miller). Gli iniziali insuccessi cedono però il passo a un’inaspettata rimonta che segnerà una significativa rivoluzione sistemica.
Ispirato al libro di Michael Lewis, Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game – titolo in parte conservato nell’azzeccata traduzione italiana L’arte di vincere – il film diretto da Miller e scritto da Aaron Sorkin (Oscar alla miglior sceneggiatura non originale per The Social Network) e Steven Zaillian (Schindler’s List, Gangs of New York, American Gangster) è il ritratto di un uomo annientato come giocatore dal sistema che cerca di ribaltarlo e rigenerarlo con formule azzardate ma vincenti. Il personaggio di Beane è un ostinato anti-eroe, ‘odia perdere più di quanto ami vincere’ e, nell’ossessione di innescare un cambiamento sostanziale, perde di vista i traguardi raggiunti. Pitt, in corsa per l’Oscar con questa interpretazione, pur non essendo un fan del baseball rivitalizza il suo personaggio rendendogli la giusta energia e carica nevrotica, nel gesto e nell’atteggiamento. E in effetti non è necessario essere amanti del baseball per amare Moneyball, film da non confinare ingiustamente nel genere sportivo. Lo sport, quello di squadra, è un fattore aggregante per eccellenza, un coordinatore di individualità per il perseguimento di un obiettivo comune troppo spesso sacrificato da un mercato orientato alle singole voci di spicco. Con fare calmo ed equilibrato, in poco più di due ore di film le crepe di un sistema vengono sviscerate e affrontate dalla determinazione di uomo che dalla sua delusione si è risollevato per insegnarci a credere nelle proprie rivoluzioni e nella forza dell’insieme.
di Francesca Vantaggiato