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MEDFILM 2013: Yema

MEDFILM 2013 - YemaStoria di una madre colpita dal dolore più grande

Yema vuol dire madre. Ed è un titolo emblematico quello scelto dalla regista e attrice Djamila Sahraoui per il suo film, un titolo che non lascia spazio ad altre interpretazioni. In questa parola si condensa tutta la storia della protagonista. Yema, presentato nel Concorso Ufficiale del MEDFILM Festival 2013, si apre con la scena di una sepoltura: Ouardia sta seppellendo suo figlio Tarik, un soldato che potrebbe essere stato ucciso dal fratello Ali, leader di un gruppo islamista. Scopriamo subito che Ouardia è una donna ribelle perché si arroga un diritto, quello della sepoltura, che secondo la religione islamica è appannaggio degli uomini. Il suo è un gesto sfrontato, dettato dalla rabbia, la stessa che le impedisce di accogliere nuovamente l’altro figlio in casa. Ali, fa sorvegliare la madre da uno dei suoi uomini ed è consapevole che il dubbio sulla morte del fratello, non è l’unico ad alimentare il dolore di sua madre: presto Ouardia si vede consegnare un bambino, figlio di Malia, donna amata in passato da entrambi i fratelli e morta di parto. E forse è proprio l’ingresso di questa nuova vita ad imprimere un nuovo corso a quella della protagonista: la terra brulla delle campagne algerine, che fa da sfondo al film, si tinge di verde. Perché Ouardia ha poche cose da dire, ma tante da fare: coltivare la terra, prendersi cura del bambino. Ma il dolore per la perdita di un figlio, non si può cancellare e neanche il rancore per Ali che, un giorno, torna a casa gravemente ferito: emblematica la scena in cui la madre ruba delle dosi di morfina, rendendosi padrona del dolore del figlio, come lui si è reso padrone del suo. Qualcuno potrebbe obiettare a Yema un’eccessiva lentezza ma è una pecca facilmente perdonabile: lo spazio per i dialoghi è poco perché la comunicazione è tutta affidata alle immagini, di una straordinaria forza emotiva. In ogni gesto, in ogni silenzio, la protagonista mostra tutto il suo dolore e tutta la sua rabbia, che sembrano non placarsi mai. La catarsi c’è ma arriva nel finale: l’unico posto in cui non c’è più spazio per gli antichi rancori è l’aldilà.

di Lucia Gerbino