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Hugo Cabret, un omaggio al cinema fantastico

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Hugo Cabret, un omaggio al cinema fantastico

Il giovane Oliver Twist parigino nascosto nell’affollata stazione dei treni riscopre le origini del cinema fantastico

Scorsese rilegge con incanto il racconto illustrato di Brian Selznick, The Invention of Hugo Cabret, incentrato sulle gesta del coraggioso Hugo, un ‘orfano, orologiaio e ladro’ di dodici anni che, nella movimentata stazione parigina degli anni ’30, vive di espedienti nel tentativo di non essere notato per evitare l’orfanotrofio. Hugo ha un sogno da far ri-vivere, l’automa capace di scrivere trovato dal padre che si era dedicato con passione alla riparazione della prodigiosa macchina fino al giorno del tragico incidente in cui perse la vita. Attratto dal burbero venditore di giocattoli George, e soprattutto dai marchingegni presenti nel suo negozio, Hugo si imbatte in Isabelle, una ragazzina molto curiosa insieme alla quale si addentra in un’avventura alla scoperta delle origini del cinema fantastico.

Hugo Cabret si lascia leggere in due parti, una prima costruita intorno ai personaggi di Hugo – una sorta di Oliver Twist parigino interpretato dal giovane e promettente Asa Butterfield – e di Isabelle (Chloe Moretz), nonché intorno ai caratteri secondari inseriti con insistenza nella narrazione dal nostro affabulatore, e una seconda interpretabile come una dichiarazione d’amore al cinema. Così, tra un omaggio ai fratelli Lumière con la citazione del treno che sconvolse gli spettatori ne L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat e la rievocazione della celebre scena di Harold Lloyd appeso all’orologio in Preferisco l’ascensore, il regista di Taxi Driver si lascia guidare da Selznick nell’elogio del cinema delle illusioni, celebrando il fabbricante di sogni George Méliès. E infatti, dietro il severo venditore George interpretato dal convincente – sia prima che dopo la rivelazione – Ben Kingsley, si cela un Méliès che ha bisogno di ritornare a sognare, costretto dalla guerra ad abbandonare il set cinematografico e a vivere nell’orrore di sapere che le sue pellicole sono diventate plastica per tacchi. Il messaggio custodito dall’automa attivato dalla determinazione dei due ragazzi lancia un amo all’illusionista che lo creò riaccendendo – per gli spettatori, per i cinefili più incalliti e, last but not least, per Scorsese – l’incanto del cinema (delle origini).

La grafica ipertrofica potenziata da un 3D che sfonda la bidimensionalità, disegna luoghi e personaggi elettrizzandoli con una carica iper-reale tesa a ricreare un’atmosfera favolistica da cui essere avvolti. La singolare matrice letteraria che ha generato il film racchiude nelle splendide tavole il potere incantatore del racconto per immagini, si presenta alla vista come uno storyboard da completare con la magia del movimento. Nelle mani di Scorsese la trasposizione cinematografica del libro trasuda un amore sconfinato per la settima arte, sebbene la sua cinefilia finisca per prevalere sulla compattezza del racconto, a volte traballante nella struttura altre perso a rincorrere dettagli che divagano dalla storia.

di Francesca Vantaggiato