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Roma Fiction Fest 2015: Limbo

Limbo

Limbo - Kasia Smutniak - Adriano Giannini

Limbo – Kasia Smutniak – Adriano Giannini

Due anime sospese e la loro scelta di responsabilità

Due anime sospese che il destino fa incontrare e che devono riconciliarsi con la vita. In bilico come si trovassero in una dimensione sospesa anch’essa. In un “Limbo“, quello che dà il titolo al film in concorso alla nona edizione del Roma Fiction Fest, per la regia di Laura Paolucci e Francesco Piccolo. Adattamento del libro omonimo di Melania Mazzucco del 2012, è una storia intensa. Divisa a metà tra quella dei protagonisti interpretati in modo eccellente da Kasia Smutniak ed Adriano Giannini. Entrambi sembrano essere sempre di passaggio. Troveranno la loro dimensione? Nel frattempo è un’occasione per affrontare il tema delle missioni di pace in zone di guerra come l’Afghanistan, dove la vita di un bambino vale meno di niente e dove le donne fino ad un decennio fa non potevano neppure studiare.
Manuela Paris è, infatti, un soldato che ottiene di diventare comandante di un reggimento in un deserto afgano. La sua squadra subirà un attentato. Rimasta gravemente ferita, farà ritorno a casa, ma reinserirsi in società non sarà facile. Porta le cicatrici di quel periodo eppure, ciononostante, non vede l’ora di ripartire e tornare laggiù. La sceneggiatura studiata con cura ci fa scoprire gli eventi poco a poco e, sino alla fine, non sapremo come sono andate le cose. Sicuramente la presenza di una donna-soldato come protagonista era qualcosa che mancava al cinema e che la cinematografia ricercava da tempo. È un modo per farci sentire vicine quelle guerre che consideriamo lontane, quasi non ci appartenessero. Mostrando le difficoltà di reinserirsi in società per questi soldati che tornano dal fronte, che hanno gli incubi di notte e non sopportano più i fuochi d’artificio che ricordano loro gli spari. Come Manuela Paris.
Kasia Smutniak  ha interpretato il ruolo con essenzialità pregnante, ricca di emotività. Un personaggio, il suo, abbastanza chiuso in sé che esplode in un sorriso finale così trattenuto a lungo. Una Smutniak intensa e dolorosa ha confessato di essersi divertita a recitare la parte militaresca poiché viene da una famiglia militare. Avrebbe sempre voluto fare il soldato. Sua nonna lo era, ha raccontato, e la portava sempre con sé dopo scuola. “Quello delle donne soldato è storia recente, ma non nel mio paese”, ha confessato. Rivelando che le parti di Manuela donna e del comandante Paris sono state girate in due momenti diversi. Con soldati che sono stati davvero in Afghanistan; ascoltando perciò i loro racconti ed esperienze e facendosi affiancare da loro durante le riprese. Questo nuovo soldato Jane tutto italiano deve però innanzitutto (oltre che ritrovare la memoria, capire ciò che è accaduto e cercare di ricordare) confrontarsi con un altro tema centrale del film: quello della scelta individuale, la responsabilità, avendo la capacità di andare sino in fondo senza sottrarsi o voltare le spalle. A questo equivale la riabilitazione a cui è sottoposta una volta tornata a casa.
E in questo contesto si inserisce la figura di Mattia Rubino (Adriano Giannini): uomo misterioso che alloggia di fronte alla sua abitazione, presso l’hotel Bellavista. Anche lui si scoprirà che combatte un’altra guerra e che ha un altro modo di servire ed amare il suo Paese. “È come si avessero, così, due film nello stesso film. Se c’è un film nel film -ribadisce e spiega l’attore – è perché hanno in fondo cicatrici che sono simili ed è per questo che si riconoscono da subito; si tratta di segni evidenti sul corpo di Manuela, più profonde e nascoste, ma comunque ben percepibili, nell’animo del mio personaggio. Egli porta un’ambiguità che dà ancora maggiore senso di sospensione a Limbo'”.
Li attende un luogo percorso che va dalla diffidenza al riaprirsi, rimettersi in gioco per andare verso l’altro.
Le conclusioni e la sintesi sono affidate alle parole della nipote di Paris: “bisogna riconciliarsi con il proprio destino; e in questo c’è qualcosa di bello e dolce”. Una produzione tutta italiana per “Limbo“, da parte di Fandango e Rai Fiction, che inorgoglisce perché “denuncia” in un certo qual modo, senza condannare. Non si risparmia nel film una stoccata politica: “i politici usano i soldati per farsi una fama internazionale”. Intanto quegli stessi uomini, mandati al fronte, sognano di tornare a casa dalle loro mogli e compagne, dai loro figli. Giovani onesti con ideali come quello della famiglia. La scritta sulla maglietta di uno dei soldati del gruppo guidato da Paris ci ricorda questo: ‘mamma torno presto a casa’; mentre spesso non è così purtroppo. Allora perché una donna vuole diventare soldato? Per quale motivo, dopo aver rischiato la vita ed essersi miracolosamente salvata, vuole tornare in quell’inferno? Interrogarsi su questi temi, provando a trovare una risposta senza essere retorici non era impresa da poco. Per questo la parte al contempo più difficile e pregnante è la costruzione e l’approfondimento psicologico dei personaggi. Il che fa la differenza nel film ed è quello su cui si è puntato.

di Barbara Conti