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Festival del Film di Roma 2013: Manto Acuifero, Rowe difende il suo film con la bravura dell’attrice che recita la piccola Caro

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Festival del Film di Roma 2013: Manto Acuifero, Rowe difende il suo film con la bravura dell’attrice che recita la piccola Caro

Michael RoweRiscoprire il rapporto con la natura che i bimbi hanno spontaneamente per ritrovare legami autentici

Il regista Michael Rowe difende con determinazione il suo film. “La cultura della famiglia tradizionale in America latina  è in declino, il numero dei divorzi aumentano sempre più e mi sembra che si sia diffusa piuttosto una cultura del divorzio facile. Gli psicologi, poi, dicono ai genitori e agli adulti ciò che vogliono sentirsi dire; l’impatto psicologico sui bambini non viene considerato affatto quando, invece, per loro le conseguenze sono profonde e spesso i piccoli non sono nemmeno in grado di formularle. Ritengo, pertanto – sostiene il regista – che la cultura messicana sia decisamente diversa da quella europea ed occidentale. Sembra che in Messico Freud e Jung non siano mai arrivati”.

La sua opera, dunque, è una denuncia di questo stato di abbandono in Messico e una forma per sensibilizzare l’opinione pubblica, anche estremizzando certe situazioni. È lo stesso Rowe a definire il film “molto intimo, molto contenuto, con un senso di solitudine e violenza latenti; una sofferenza disegnata con rigore cinematografico attraverso un punto di vista che è sempre quello della bambina. I genitori sono quasi sfumati sullo sfondo. Non si vede nulla che non dobbiamo vedere”. Un’opera che rientra, appunto, come già detto in apertura, in una trilogia sulla solitudine. Il regista accenna che sta già lavorando al terzo, il secondo film è in sospeso, e tratterà della storia di un anziano che si trova da solo con l’età che avanza. “Sarà in inglese e lo girerò in Canada a febbraio prossimo. Si intitolerà ‘Rest Home’”, annuncia prima di tornare a parlare del suo “Manto acuifero”.

Anche il fatto di non avere musica rientra nella funzione di un elemento che definisco extradiegetico, di enfatizzare il senso di solitudine. A mio avviso se si svolge bene il lavoro di regia, per evocare le emozioni non servono né la musica né troppi movimenti di macchina”. Inoltre si sofferma anche a  sottolineare l’aspetto autobiografico del film. “Vivo da molti anni in Messico e sono cresciuto sempre in compagnia di animali. Inoltre anche nel fatto che il padre di Caro sia entomologo c’è una componente personale: anche il mio è un punto di vista da entomologo, poiché cerco di vedere gli esseri umani con l’obiettività e la rigidità di un documentario”. Fondamentale, e spiega il motivo illustrando la sua teoria. “Credo che la solitudine venga dal divorzio dell’uomo con la natura. Lo sviluppo tecnologico non ci fa più vivere in un contesto naturale, ma creato da noi e ciò ha influenze molto forti sulla nostra anima. E in “Manto acuifero” c’è una continua interrelazione tra dentro e fuori per mostrare il contrasto netto tra il mondo naturale esterno così intenso e ricco di vita e quello arido interno della casa dove abita Caro con la sua famiglia; la bimba vive in questi due contesti, ma ricerca il primo. Oserei dire che a Città del Messico c’è una sindrome da mancanza di contatto con la natura molto pericolosa poiché si ritiene che si posa schiacciare un insetto o una lumaca ad esempio, così come di conseguenza si sente legittimati a schiacciare anche un essere umano”, un libero arbitrio di cui ci si impossessa autonomamente che equivale al trionfo della legge del più forte e della giungla; tanto che la mamma di Caro definisce il giardino stesso una giungla da ordinare. E pertanto gli elementi più fragili e delicati, come i bambini, in una tale situazione tendono a non essere tutelati. O almeno non del tutto o non in maniera adeguata. “Credo che dovremmo recuperare –prosegue il regista- il rapporto con la natura poiché non si capisce che da essa si può imparare molto. Mi interessa più un realismo emotivo che cinematografico, in modo da rappresentare l’universo interiore dei personaggi. Ritengo, infatti, che il mondo esterno sia un riflesso di quello interiore. Spero, poi, di essere riuscito a far sì che il legame magico con la natura che possiedono i bambini naturalmente sia arrivato agli spettatori. Ho voluto sottolineare, infine, l’enorme differenza e la distanza che c’è tra adulti e bambini. Grazie alla bravura di Zaili Sofia Macías Galván non ho dovuto usare stratagemmi particolari o artifici cinematografici sofisticati. Ho solamente lavorato a parte con lei  e avuto l’accortezza di non farle conoscere prima di girare le scene gli attori che avrebbero recitato la parte dei genitori, dei familiari che le ruotano intorno, soprattutto la mamma e il patrigno, affinché non potesse creare vincoli, legami affettivi o emotivi, ma mantenesse quella distanza che rafforzasse il senso di distacco e lontananza dal mondo adulto. Questo è l’unico  aspetto che non ha elaborato spontaneamente la bimba”.

Un nuovo talento scoperto da proteggere allora.

di Barbara Conti