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Festival del cinema di Venezia 2011: A Dangerous Method

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Festival del cinema di Venezia 2011: A Dangerous Method

Dispute psicologiche dal potenziale quasi inesplorato in A Dangerous Method di Cronenberg

Quando al Lido arriva il momento di David Cronenberg, le aspettative di una visione al di là del comune immaginario sono altissime. Il regista canadese si confronta con una materia ricca di spunti, la vivace disputa tra Freud (Viggo Mortensen) e Jung (Michael Fassbender), in un adattamento di Christopher Hampton del suo play The Talking Cure. Nello stimolante scambio di pensiero tra i due luminari della psicoanalisi, si inserisce la complicata e affascinante paziente Sabina Spielrein (Keira Knightley) che con le sue psicosi e la straordinaria vivacità intellettuale contribuisce ad arricchire il dibattito tra i due. A ravvivare le menti (e la storia) è l’ingresso di Otto Gross (un convincente Vincent Cassel), uno studioso bizzarro e libertino che non pone freni al suo bisogno di libertà sessuale. Con Gross, Jung accantona i suoi freni inibitori e si arrende all’amore per Sabina, diventata nel frattempo una promettente psichiatra. La storia subisce uno scossone quando i due grandi indagatori del ‘900 iniziano a percorrere strade di ricerca sempre più distanti e inconciliabili tra loro, mantenendo Freud il suo approccio scientifico mentre il suo naturale erede vira verso un misticismo quasi sciamanico.

Dispiace non poter gridare al capolavoro guardando l’ultimo lavoro dell’autore di film visionari e rivoluzionari come Videodrome, La Mosca, Il pasto nudo, Crash, dove il sinergico contatto tra corpo e mente apre le porte a nuove possibilità esplorative. La svolta di A History of Violence (con lo stesso Viggo come protagonista), una storia di ordinaria follia dove proprio l’eccesso di normalità iniziale a cui Cronenberg non ci aveva abituati illumina l’esplosione di violenza covata, non ha fatto altro che aprire nuovi orizzonti narrativi nella prolifica carriera del sofisticato cineasta. Con A Dangerous Method il nostro aveva dalla sua un contesto brulicante di ispirazioni, l’impero della mente. Freud conduce i suoi studi sulla sessualità spalancando al mondo le porte dell’inconscio e Cronenberg, di riflesso, ha dinanzi a sé una potenzialità visiva eccezionale da abitare e modellare. Eppure, non si addentra mai nell’anima dei personaggi, li osserva dall’esterno e affida la riuscita del film al triangolo (in qualche modo amoroso) Freud-Jung-Spielrein. Che sia carnale o spirituale, il legame tra i tre medici è magnetico, lo scambio epistolare o le lunghe disquisizioni tra i due pionieri della ‘cura parlata’ rivela un’attrazione sensuale tanto da rendere paragonabile la loro rottura a quella tra due amanti, il contributo della Spielrein al dibattito in corso è la prova dell’intima condivisione di pensiero con i due uomini.

Con questo film Cronenberg sembra aver messo a riposo la sua immaginazione rilassandosi su una messa in scena regolare e verbosa per niente trascinata dalle note del tanto citato Wagner (L’Oro del Reno, l’Idillio di Sigfrido). In un quadro troppo pulito e piatto per avere la firma del Maestro, dispiace anche vedere accanto agli intensi Mortensen e Fassbender una Knightley imbarazzante nelle scene di pazzia. Non ci resta che sperare in un ritorno di stile nel prossimo film annunciato, Cosmopolis, tratto dall’omonimo romanzo dello spregiudicato Don De Lillo con Robert Pattinson nel cast.

di Francesca Vantaggiato