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Festa del Cinema di Roma 2015: The End of the Tour

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Festa del Cinema di Roma 2015: The End of the Tour

The End of the Tour

The End of the Tour

The End of the Tour

Dopo una manciata di film spazzatura, Jason Segel interpreta uno dei geni più formidabili del nostro tempo. Ed è incredibilmente bravo

La sera del 12 Settembre 2008, Karen Green trova il marito David Foster Wallace nel patio di casa. S’è tolto la vita: stavolta ce l’ha fatta.

Dodici anni prima, lo scrittore del Rolling Stone David Kipsky, dopo essersi convinto a leggere Infinite Jest, decide di proporre alla sua redazione un articolo sull’autore più famoso degli Stati Uniti d’America. È la prima volta che una rivista “musicale” intervista uno scrittore, ma David Foster Wallace, in fondo, è un po’ come una rockstar e una rivista così importante non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di raccontare la straordinaria vita di un uomo così singolare. Kipsky parte senza esitazione, già convinto di avere una storia sensazionale da raccontare. Inutile dire che l’incontro lungo 5 giorni con Dave Wallace gli cambierà la vita, perché probabilmente avrebbe cambiato anche la nostra. Da quell’incontro nascerà un articolo che non vide mai la luce e la pubblicazione di un libro (Although of Course You End Up Becoming Yourself. A Road Trip with David Foster Wallace), che poi è alla base di questo film, The End of the Tour, fino ad ora forse uno dei film più intensi, brillanti e commoventi di questo Festival.

Non ho mai desiderato sposarmi così tanto come in queste due settimane. Non mi capisce nessuno. Sono circondato da persone interessanti, ma ognuno di loro ha le sue cose a cui pensare. A me piacerebbe avere, invece, qualcuno che mi capisca e con cui condividere la mia vita. Mi piacerebbe anche avere dei figli, un giorno, perché no”. Non lo direste mai, ma a parlare è proprio Wallace: un uomo normale, con un passato ordinario e una vita tranquilla, colpevole – forse – di una sensibilità sopra la media e della totale incapacità di gestirla. Il ritratto delineato dal film di James Ponsoldt (e, quindi, del libro di Kipsky) è quella di una persona brillante, straordinaria, divertente, ma solitaria suo malgrado. Perché incompresa, probabilmente, e perché la sua timidezza cronica lo rende un soggetto difficile da “trattare”. E dire che a Wallace la gente piace pure, non è uno di quegli orsi borderline in conflitto con la società e alla ricerca di un posto nel mondo (o fuori da esso). In questi giorni insieme, David & David parlano di tutto: di televisione, di cinema, di letteratura e di come sia impossibile distinguere una cultura elevata e di nicchia da una popolare e commerciale. Dave Wallace è un uomo semplice ed è questa la sua straordinarietà: “Non sono più intelligente di te o di qualsiasi altro scrittore. Tutt’altro. Anzi, la mia intelligenza sta forse nel rendermi conto di essere una persona comune”. E comune lo è sul serio, lui, che ama leggere libri e non ha comprato un TV per paura di diventarne dipendente, che ama il junk food e ne mangerebbe fino ad esplodere e il fine settimana si scatena al ritmo della discomusic in una chiesa battista, che guarda solo film d’azione e parla ai suoi cani come fossero suoi fratelli, che non riesce a rottamare la sua macchina perché “è sua amica” ed è ancora innamorato della sua ex fidanzata con cui ha avuto una storia ai tempi dell’università.

Non conosco così bene David Foster Wallace. Il primo libro che ho letto, scritto da lui, è un saggio sull’inutilità delle crociere (Una cosa divertente che non farò mai più). Ci ero stata da poco, su una di quelle navi, ed è stata forse l’esperienza peggiore della mia vita. Ho visto quel libro, conoscevo l’autore, e mi sono detta: magari la pensa come me, magari ho ragione io, magari non sono matta. Leggerlo mi ha confortata: non ero matta davvero. Da allora, però, mi sono ripromessa che mi sarei informata su di lui, che avrei letto i suoi libri e che sì, prima o poi avrei avuto il coraggio di affrontare il suo Infinite Jest. Non l’ho ancora fatto, ma non appena ho saputo che alla Festa di Roma avrebbero proiettato The End of the Tour ho colto l’occasione per ricordarmene. Sono entrata in sala come al solito, possedendo pochissime informazioni: i film preferisco guardarli, prima, e informarmi solo successivamente. Sapevo che Jesse Eisenberg avrebbe interpretato David Lipsky, ma non volevo sapere chi avrebbe interpretato lo scomodo ruolo dello scrittore più discusso d’America. Quando ho scoperto che a interpretarlo c’era Jason Segel ho fatto un balzo sulla poltrona: FINALMENTE, mi sono detta, finalmente al suo talento è stata data l’occasione giusta. E avevo ragione. Segel ha finalmente svestito i panni del cazzone sfigato dei junk movie americani per vestire quelli di David Foster Wallace, all’apparenza cazzone pure lui, ma probabilmente una delle persone più sensibili con cui si possa mai avere a che fare nella vita. E per quanto un attore come Rob McElhenney gli sarebbe somigliato di più fisicamente, Jason Segel è riuscito a riportarlo in vita nel modo giusto, restituendogli quella dignità che per anni gli è stata tolta. Ed è un vero peccato che un film come questo in Italia non vedrà mai la luce, ma sono felice di poter dire di averlo visto, al punto che adesso esco e vado a comprare il libro di Lipsky e poi giuro che comincio anche Infinite Jest.

di Luna Saracino