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Festa del Cinema di Roma 2015: Mistress America

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Festa del Cinema di Roma 2015: Mistress America

Mistress America

Mistress America

Brooke, giovane americana, travolge la sorellastra Tracy ed altri nella sua avventura, nel suo sogno tutto americano potremmo bene dire. Con una comicità entusiasmante

Mistress America” sembra il titolo di un concorso di bellezza, ma non lo è anche se potrebbe esserlo visto il caratterino vivace della protagonista. Così, infatti, nella mente di Brooke (Greta Gerwig) dovrebbe chiamarsi il “suo” futuro ristorante tutto fare con parrucchiere e negozi annessi, ed esso dà il titolo all’omonimo film del regista Noah Baumbach. Giovane americana è molto estroversa: o la si ama i la si odia per il suo egocentrismo esagerato ed esasperato. Solare, briosa, attiva è un vortice di idee, un vulcano in esplosione che travolge chiunque passi per la sua strada. Stavolta, però, è la sua vita ad essere stravolta dall’arrivo di Tracy (Lola Kirke, che ha interpretato il ruolo di Greta in ‘Gone Girl’ di David Fincher), una sorella sconosciuta ed acquisita dalle seconde nozze del padre, poi saltate, perché la famiglia di lei non porta mai a compimento nulla. Infatti, nonostante la personalità forte, marcata, la protagonista non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Fa mille cose, ha molteplici passioni e differenti passatempi che condivide con una marea di persone, ma con nessuna riesce a stabilire un rapporto vero, autentico, profondo e sincero. In questa triste, amara e silente solitudine partecipata ed affollata, che cerca di annullare con una routine che conduce a ritmi forsennati. Eppure in questa sorta di psicodramma in solitario si ride tanto, sinceramente. Una commedia americana davvero divertente, naturale e spontanea. Ottima la recitazione della protagonista. Ricorda un po’ Mental dell’australiano Hogan per la capacità di analisi introspettiva ed approfondita, ma con leggerezza, della psicologia e delle personalità dei personaggi. Intorno all’apertura di questo ristorante, che significa per lei la realizzazione, ruotano tanti altri personaggi che vengono ad essere uniti dal progetto del ‘Mistress America’. Ognuno cerca la sua strada. Se lei si sente fuori luogo in ogni posto, sempre in fuga da se stessa, dallo scoprire chi è veramente, sebbene faccia di tutto per rendersi particolarmente antipatica, è anche molto generosa. Tutti la credono un’egoista superficiale, per questo non si rende conto di quanto brilli e quanta luce faccia la sua vitalità, anche se dovrebbe imparare a controllarla e tenerla a bada, a gestirla con maggiore equilibrio. Con leggerezza, il film è un viaggio di formazione, anche nella costruzione di un bel rapporto di amicizia con Tracy, che ama leggere e che si ispira e sogna un soggetto come la ‘sorellastra’, perché vede nella sorella acquisita la persona perfetta con cui mettere a tacere chi l’ha rifiutata e considerata scarsa come scrittrice. Forse approfondire di più e meglio questo legame nuovo che si viene a instaurare avrebbe giovato alla commedia.

C’è bisogno di ridere e nella drammaticità profonda dei film presentati alla Festa del cinema come il favorito “Freeheld”, “These Daughters of mine”, ma anche lo stesso “Truth”, gioca a favore di “Mistress America” l’essere una commedia che pare uscita dal teatro per lo stile di recitazione, e da uno spettacolo di cabaret per la padronanza della verve comica della protagonista. Così sui generis come persona e carattere, la protagonista colpisce quando ribadisce “non sono stata educata e cresciuta così”, a significare la sua volontà di rimanere fedele ai principi che le ha infuso la famiglia e a ribadire l’importanza, anche se rimarcata in maniera indiretta, del nucleo familiare. Poi, certo, il fatto che sia una giovane ragazza, donna e alla ricerca di un lavoro e di un posto nel mondo per di più, che pensa di mettere su un ristorante, facilita l’identificazione e ne sancisce l’attualità e la forte presa sugli spettatori. L’attenzione, nonostante i numerosi personaggi presenti, è tutta focalizzata su di lei, vera star di questo show che è la vita. Ride sempre, un po’ isterica, ma cela una sensibilità che la fa piangere; anche lei può essere ferita e, soprattutto, nasconde un grande dolore per la perdita della madre. Apparentemente anaffettiva, inconcludente, superficiale, esagerata, incapace di legarsi e di provare affetto per altri se non per se stessa e buona solo a soddisfare il suo ego narcisista, si fa portavoce di tutti i giovani che si sentono disadattati, soli, esclusi, incompresi e giudicati da un mondo che non dà loro una possibilità di dimostrare il loro valore. È il personaggio più riuscito; gli altri sono solamente sue ‘spalle’. Anche la sua alter ego Tracy, per quanto importante, non può competere con il suo carisma. Certo la aiuta a fare ordine nel caos della sua testa, le insegna l’autocontrollo, lei sempre così imperturbabile; soprattutto, però, viene trascinata e travolta dalla vitalità di Brooke, senza cui la vicenda non avrebbe avuto inizio. Così è anche per gli altri personaggi, che costruiscono tutti qualcosa di buono grazie e tramite Brooke: direttamente o indirettamente. Del resto sulle doti della californiana Greta Gerwig non c’erano dubbi. Aveva già lavorato con Noah Baumbach nel 2010 nel film Lo stravagante mondo di Greenberg, per la cui interpretazione ottenne una candidatura come miglior attrice protagonista agli Independent Spirit Awards 2011.

di Barbara Conti