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Albert Nobbs, un’impeccabile prova attoriale

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Albert Nobbs, un’impeccabile prova attoriale

Elegante nella regia, meticoloso nella caratterizzazione estetica e interpretativa dei personaggi, Albert Nobbs si inceppa sulla costruzione psicologica

Dal 1982, anno in cui Glenn Close vestì per la prima volta i panni di Albert Nobbs a teatro nella rappresentazione di Simone Benmussa, l’attrice statunitense ha lottato e creduto nel progetto di portare sul grande schermo questo complesso e tragico ritratto tracciato dalla penna di George Moore. Il racconto breve intitolato Morrison’s Hotel, Dublino risalente e ambientato nell’Irlanda del XIX secolo ha aspettato trent’anni per approdare al cinema, mentre nell’ultimo decennio la Close ha più volte rimaneggiato la sceneggiatura insieme all’autore irlandese John Banville. Nel 2005, a quattro anni dall’inizio della lavorazione, Close ha scelto il regista e amico Rodrigo Garcia – vincitore del Pardo d’Oro 2005 con Nine Lives – per dirigere il suo adattamento in costume.

Albert Nobbs è un cameriere ineccepibile del Morrison Hotel di Dublino, dedito al lavoro e attento a risparmiare per coronare il suo sogno professionale, avviare una sua attività commerciale. Un giorno, in albergo arriva l’imbianchino Hubert (una strabiliante Janet McTeer) chiamato a ridipingere parte dello stabile, e la padrona decide di sistemarlo nella stessa stanza del protagonista. Apprendiamo insieme a Hubert il segreto di Albert: l’infaticabile cameriere è in realtà una donna, una figlia illegittima cresciuta in povertà e tenuta lontano dalla famiglia, costretta a travestirsi da uomo per trovare lavoro. Proprio quando ogni sforzo affrontato da lui/lei sembra crollare, Albert trova in Hubert un amico/a (con annesso colpo di scena) e un esempio di possibile via famigliare percorribile.

Albert Nobbs è un’intuizione – prima letteraria poi cinematografica – dove dall’idea di un personaggio costretto a vivere nell’anonimato e a orientarsi verso il travestitismo per sopravvivere in una società bigotta e moraleggiante si delinea lo spaccato sociale di un’epoca e l’atteggiamento censorio verso il privato. Non conosciamo il vero nome di Albert, la questione identitaria è con ogni probabilità un argomento poco chiaro ai suoi stessi occhi costretti a guardarsi per anni sotto mentite spoglie, la severità sociale è pronta a condannare i poveri e i ‘diversi’ e di questo Albert è consapevole.

Questa opera di transcodifica elegante e stilisticamente raffinata soffre, però, di alcune lacune psicologiche che lasciano inesplorati gli interrogativi più intimi sulla sessualità di Albert e sul successivo accanimento nel voler corteggiare e sposare la bella e sventurata cameriera Helen (l’eterea Mia Wasikowska) che lo spinge a entrare in una intricata triade amorosa completata da Joe (un tiepido Aaron Johnson).

Impeccabile nella mise en scène, Albert Nobbs sembra essere concepito come uno spazio destinato a grandiose – e non disattese – prove d’attore: Glenn Close è in corsa all’Oscar con la sua maestosa recitazione dove corpo e gestualità si coordinano con cura per caratterizzare un personaggio drammatico, e non sorprende la nomina dell’imponente Janet McTeer che la segue nella categoria Miglior Attrice non Protagonista.

di Francesca Vantaggiato